SCARFACE, ASCESA E CADUTA DI AL CAPONE

“Puoi ottenere molto con un sorriso, puoi ottenere molto di più con un sorriso e una pistola”

Alphonse Gabriel Capone

“Mi si accusa di tutte le morti violente nel mondo, mi meraviglio come non mi addossino anche le vittime della Grande Guerra”

di Patrice MersaultGenoa News Chronicle / Io, reporter

COSI’ DIVENTO’ SCARFACE

New York, inverno del 1917. L’Harvard Inn è un locale di Coney Island, quartiere di Brooklyn. Una bettola di moda frequentata da delinquenti irlandesi, prostitute, mafiosi italiani affiliati alla potente ‘Mano Nera’ e ragazzi della temuta ‘Five Points Gang. Tizi ben vestiti. Alcuni pieni di coca, altri intontiti da cocktails di pessima qualità e alta gradazione. Quasi tutti contaminati dal fango di una vita violenta e volgare. Da quelle parti e in quegli ambienti la Grande Guerra che stava dilaniando l’Europa era percepita come un fatto lontano. L’onda della tragedia bellica non arrivava neppure a lambire quel ritrovo malfamato di emigranti europei. L’Harvard, gestito dal boss Frankie Yale, fungeva da copertura ad un bordello e ad una bisca. In poche parole era un luogo di perdizione, vivamente sconsigliato alle signorine di buona famiglia. All’esterno rifiuti umani di ogni genere e una fossa dove era frequente assistere a zuffe tra cani, gatti e topi grossi come conigli. Quella notte nessuno era vigile, fatta eccezione per il barista e factotum del locale, un ragazzone diciottenne di origini italiane, dall’aria dura, mitigata solo in parte dalla precoce stempiatura e dal fare pacioso. Una maschera tragica da commedia dell’arte, un paffuto e malinconico Pulcinella che sembrava guardare con rabbia persino le tenebre di quel buco nero e sporco. In certe cerchie, si sa, uno sguardo storto o una parola azzardata potevano segnare il corso di un’esistenza. Lui, il barista, individuo scaltro e accorto, lo sapeva, ma una debolezza, di lì a poco, lo avrebbe tradito: la sua passione tellurica per le donne, la sua disordinata sete di sesso e piacere.

Il destino beffardo si materializzò sotto le spoglie di una sua vecchia conoscenza, un furfante “testa calda”, anch’egli di origine italiana. Frankie Galluccio, questo il suo nome, entrò in scena all’Harvard Inn trascinando a forza una vamp bruna e bizzosa, simile a una puledra recalcitrante. L’aspetto della ragazza era quello di una flapper, una maschietta, quel tipo di donna che usava la propria bellezza e femminilità come arma di emancipazione da una famiglia non sempre desiderata o da ruoli umilianti e secondari.

flapper

flapper

Le flappers erano a tutti gli effetti proto-femministe che cercavano la parità e il riscatto anche di notte, fumando e bevendo nei nightclub come gli uomini. E lo facevano in modo talmente irriverente e snob, da essere viste con un misto di diffidenza e antipatia dalle coetanee suffragette.



Frankie Galluccio avanzò verso il bancone tenendo la ragazza per un braccio. Il barista concentrò l’attenzione solo su di lei. Se la divorò con occhi di brace. Posò lo sguardo sul viso truccatissimo, indugiò per un tempo infinito su quel corpo sexy fasciato da un lucido vestito di seta, squadrò le gambe scolpite, fece mille pensieri su quelle forme invitanti. Il sangue ribolliva. Rapito da quella visione non ebbe più la forza di resistere e decise di movimentare la serata con apprezzamenti non proprio da gentiluomo:

Lo sai che hai un bel culo – le disse – Lo dico per farti un complimento sai…”. Poi, rivolto all’accompagnatore: “Hey Frankie boy, dammela a me la guagliona con la faccia da puttana, che la faccio divertire io”.

eros_quattro

Fu il primo grave errore della sua vita. L’errore fu quello di non sapere che quella ragazza imbronciata e disinvolta era la sorella di Frankie, Frankie Galluccio!

Galluccio non rispose. Sfoderò dalla tasca un rasoio e con un rapido fendente vibrato dall’alto verso il basso incise la guancia sinistra di quel barista impudente che aveva osato apostrofare la sorella.  “Un taglio lungo pollici quattro (12 centimetri ndr) tra l’orecchio e il mento, reciteranno i futuri faldoni dell’FBI. Un taglio che avrebbe prodotto una scar, una cicatrice permanente.

Fu in quella sera del 1917, in una taverna di Brooklyn, che Alfonso Capone, figlio del barbiere Gabriele e di Teresina Capone da Angri, paesello nei pressi di Salerno, divenne per sempre ‘Scarface‘, faccia sfregiata.

Quella brutta ferita, che segnò il volto di quel ragazzo troppo svelto con le parole, non bastò certo a chiudere la faccenda. Il giovane Capone comprese subito a sue spese che la malavita organizzata era un mondo duro e spietato governato da logiche gerarchiche rispetto alle quali era inutile opporsi.

Frankie Yale, il boss dell’Harvard Inn, pretese che Capone si scusasse con Galluccio già il giorno dopo. Al non lo sapeva, ma Galluccio aveva amicizie importanti legate alla mafia siciliana. Con certa gente era meglio non scherzare. Per il momento Capone non era nessuno e non poteva certo permettersi di entrare in conflitto con le persone sbagliate. L’incidente, quindi, venne presto dimenticato…anzi. Pochi anni dopo Capone, ormai in piena ascesa, assumerà Galluccio addirittura come sua guardia del corpo. Una scelta tutt’altro che rara tra faccendieri, mafiosi e grandi criminali. In quei mondi non c’era (e non c’è) spazio per la vendetta personale o per il rancore fine a se stesso. “Gli affari sono affari” e  il peggior nemico di ieri può diventare il tuo fedelissimo di oggi e domani.

Alfonso Capone nasce a New York il 19 gennaio 1899. I genitori sono onesti emigranti campani; poveri eroi protagonisti di un’epopea segnata da lacerazioni, lacrime, fame, sofferenza, sogni americani e valigie di cartone. Il cognome originario del padre, in realtà, era Caponi, ma venne modificato in Capone dall’anagrafe statunitense quando la famiglia era sbarcata a Ellis Island.

ellis-island

Le brutali storpiature dei cognomi erano errori molto frequenti dovuti all’incomunicabilità tra funzionari americani e analfabeti italiani allo sbando. L’episodio ispirò probabilmente la memorabile scena iniziale del film capolavoro ‘Il Padrino‘. Storie di identità cancellate, radici recise, strappi consumati: aspetti che il regista Francis Ford Coppola colse con maestria.



La famiglia Capone si sistema a Brooklyn. Il padre Gabriele riesce ad ingranare col lavoro. Dal matrimonio con Teresina nascono otto figli. Alfonso è il più irrequieto, una pentola a pressione pronta ad esplodere. In lui convivono due nature: la propensione al ragionamento e una primitiva attitudine alla violenza e al dominio. Studente dotato e intelligente, preferisce il richiamo della strada ai libri. Nel bene e nel male ama stare al centro dell’attenzione. E’ un bambino caratteriale, dalla personalità complessa e poliedrica, diremmo oggi; egocentrico e narcisista, non sopporta l’autorità, ovviamente quella esercitata dagli altri. In ‘sesta’, la prima media, dove aveva come compagno di scuola Lucky Luciano, prende a schiaffi una professoressa che aveva osato rimproverarlo e viene espulso definitivamente dall’istituto.

AL CAPONE NEMICO PUBBLICO

La strada di Alfonso è tracciata. Dopo qualche anno, quel bambino turbolento e riflessivo, avrà scalato la vetta del crimine, ‘conquistando’ il poco invidiabile primato di nemico pubblico numero uno del governo americano.



George Johnson, il procuratore che riuscì a condannarlo, di Al Capone diceva:

Se avesse messo a frutto la sua energia, il suo talento, la sua intelligenza e il suo coraggio nell’economia legale sarebbe sicuramente diventato un magnate dell’industria. Su questo non c’è alcun dubbio. Capone aveva uno charme tutto suo, ma purtroppo sappiamo che non utilizzò i suoi talenti a fin di bene e il risultato di tutto questo sono stati morti ammazzati, sofferenza, e per la città di Chicago la perdita della sua reputazione“.

Lasciata la scuola, Capone brucia le tappe. Inizia a farsi le ossa nelle bande giovanili, gioca a fare il gangster e ci riesce benissimo. La criminalità, quella vera, lo osserva da lontano. Quel ragazzo irruento e sovrappeso ha stoffa e carisma. Soprattutto impara in fretta e sembra affidabile. Il 30 dicembre 1918 Alphonse Capone sposa Mae Josephine Caughlin, una ragazza di origine irlandese che solo un anno prima aveva dato alla luce un figlio maschio, Albert Francis, detto Sonny (nomignolo che lo scrittore Mario Puzo adotterà per il primogenito bello e violento di Vito Corleone/Marlon Brando, personificato nel film “Il padrino” da James Caan).

Sono gli anni del grande salto. Capone entra nelle grazie del boss Johnny Torrio e ne diventa il luogotenente. Siamo nel 1919, Al ha 20 anni e probabilmente uccide per la prima volta. La sua vittima – riferiscono le ricostruzioni postume – è un certo Tony Perrotta, un mafioso che si era rifiutato di pagare un debito di gioco. Capone, tuttavia, ondeggia tra gangsterismo e attività pulite. Fino al 1921, scrive più di un biografo, la sua condotta è regolare: come contabile, prima a Manhattan e poi a Baltimora, è ineccepibile; come padre è una guida esemplare. Ma la discesa nei gironi del malaffare è dietro l’angolo. Il padrino Torrio lo attira in quella macelleria d’America chiamata Chicago, città all’epoca più sanguinaria, ma più ricca di New York. La famiglia lo segue. In soli tre anni Capone diventa una potenza ed entra, da avido autodidatta, nel pantheon del crimine italo – americano.

Al_Capone_in_1930

AL CAPONE RE DI CHICAGO

Compra leader politici e poliziotti, giornalisti e giudici. E’ come un Robin Hood: dà lavoro agli italiani, protegge i deboli, pone riparo alle ingiustizie. Per dieci anni, tra il 1922 e il 1931, coprendo l’esatta parabola del Proibizionismo, Al Capone diventa quello che nessun pezzo da novanta, nessun capofamiglia di ‘Cosa Nostra‘ è mai riuscito a diventare: il re incontrastato di una città intera, il sovrano rispettato di una Chicago dove non si eleggeva un sindaco che lui non volesse. Al Capone controlla ogni attività illegale: dalle bische allo smercio clandestino di alcolici; dai traffici di cocaina (che lui stesso consuma in abbondanza) ai bordelli da cui riceve una commissione fissa di 20 centesimi per ogni dollaro; dal racket alle scommesse.

bbaef781f069ca535ba2b8c9ed1e0b4b

Le donne e il gioco lo rendono sfacciatamente ricco. Nel 1927, l’ex barista sfregiato di Brooklyn, arriva a guadagnare una fortuna sterminata: cento milioni di dollari in un anno, quando cento dollari al mese rappresentavano un salario da nababbo. L’idea innovativa e vincente di Capone è quella di investire parte dei ricavi delle attività illegali, in attività pulite e legali, separando la gestione contabile: questa mossa porta all’organizzazione rilevanti introiti leciti che coprono quelli illeciti. Un genio del male.

monsieur-x-6184005

Al Capone, bulimico fruitore di sesso, ama ‘testare’ di persona le prostitute che animano i suoi bordelli, come quello gigantesco, di 400 stanze, ospitato al Lexington Hotel di Chicago. Il vizio, secondo errore della sua vita, gli costa la sifilide, malattia feroce che lo avrebbe reso folle. Un contrappasso in vita. Proprio la sifilide e la cocaina altereranno progressivamente il suo carattere, fino a farne un mostro.

IMPERATORE DEL CRIMINE

Sul Proibizionismo, la legge entrata in vigore il 16 gennaio 1920 – voluta dall’immigrato norvegese Andrew Volstead – e che vietava la produzione, il commercio e il consumo di ogni bevanda con un tasso alcolico superiore allo 0,5%, Capone costruisce il suo impero. La concorrenza è spietata. Gli scontri a fuoco con le bande rivali sono all’ordine del giorno. In un’imboscata il suo capo Torrio rimane ferito. Al Capone, ricevuta l’investitura dal vecchio boss, ha carta bianca e campo libero. Hanno inizio i massacri: muore il fratello minore Frank, il suo prediletto; scoppia una guerra mafiosa; in un decennio, le vittime saranno circa 500. Scarface passa indenne tra le carneficine, fuori della portata della legge. Nasce il mito. Tra i suoi amici annovera i grandi nomi dello star system: dal tenore Enrico Caruso all’asso della boxe Jack Dempsey.

Dal suo quartier generale, ricavato nell’Hotel Metropole, Al Capone, circondato dalla sua corte, governa con potere assoluto. La macchina organizzativa che lo sostiene è perfetta. Il suo immenso patrimonio è mascherato: ufficialmente non possiede nulla. Addebitargli un reato diventa un’impresa impossibile. Mezzo distretto di Polizia è sul suo libro paga. Gli alibi che puntualmente fornisce sono inattaccabili e nulla può essergli contestato direttamente. Tutti lo temono. Chi viene arrestato nel suo entourage  è colpito da improvvise e definitive amnesie, mentre chi osa rendergli l’esistenza difficile cade dalla tromba delle scale, rimane vittima di strani incidenti o chiude la bocca per sempre dopo una morte tanto improvvisa, quanto violenta. Almeno 80 i suoi rivali uccisi. Nei casi particolarmente delicati Al Capone non disdegna l’intervento risolutivo diretto. E’ capace di atrocità inimmaginabili: armato di mazza da baseball, il suo sport preferito, sfonda il cranio ai sospetti traditori, ma rispetta le donne, ama i bambini, è attaccato alla famiglia e si commuove all’Opera. I processi a suo carico si concludono con sistematiche assoluzioni grazie a cavilli e false testimonianze o per l’impegno di giudici corrotti.

Un profilo criminale, quello di Al Capone, entrato nell’immaginario collettivo, attraverso narrazioni letterarie e cinematografiche. Robert De Niro offre in assoluto l’interpretazione più fedele del boss nel film ‘The Untouchables – Gli intoccabili‘, diretto nel 1987 da Brian De Palma.



Durante la cruenta guerra di mafia Al Capone rafforza il proprio apparato di sicurezza. Corre voce che i suoi gregari siano in grado di svuotare un intero albergo in 15 minuti scomparendo nel sottosuolo.

*Nel 1985 a Chicago, sotto il marciapiedi del vecchio Hotel Lexington, è stato localizzato un bunker di cemento armato dove il gangster si rifugiava assieme alle sue donne e agli elementi eccellenti della sua banda. Secondo i massimi studiosi di Al Capone, all’inizio degli Anni ’30, il celebre gangster avrebbe fatto venire dall’Italia un gruppo di operai incaricati di scavare un sistema di cunicoli e passaggi segreti che doveva collegare l’hotel con le vicine gallerie della metropolitana*.

La banda di Al Capone utilizza l’ingegnoso labirinto per trasferire clandestinamente, e in gran fretta, gli alcolici di contrabbando o i bottini delle rapine. Grazie alle ‘talpe’, dislocate nei distretti di polizia, il clan è informato in anticipo sull’imminenza delle perquisizioni. Dopo ogni ‘soffiata’ il materiale compromettente viene messo al sicuro nei nascondigli sotterranei o svanisce attraverso la rete delle vie di fuga.

LA MATTANZA DI SAN VALENTINO

Al Capone è anche il mandante della famigerata Strage di San Valentino, la regina di tutte le mattanze di mafia: il 14 febbraio 1929 invia una squadra di sicari in un garage al numero 2212 di North Clark Street, indirizzo del quartier generale di George ‘Bugs‘ Moran, il suo principale concorrente nel mercato degli alcolici. Il commando mafioso è guidato dall’autista e luogotenente di Capone, Sam Giancana, con al seguito altri quattro uomini. Come data viene scelto il 14 febbraio proprio perché quel giorno Capone si trova a Miami convocato da un giudice federale per un interrogatorio, circostanza che per il boss equivale ad un alibi di ferro. Così, gli uomini di Scarface, travestiti da poliziotti, si presentano al cospetto dei rivali: colti di sorpresa, i gangsters di Bugs Moran si lasciano disarmare.

strage-di-san-valentinoAllineati contro una parete vengono crivellati a colpi di mitragliatore. Un diluvio di piombo. Almeno cinquanta proiettili scaricati su ogni corpo. Frank Gusenberg, una delle vittime, è ancora vivo all’arrivo della polizia. Alla domanda chi gli avesse sparato, risponde seguendo il codice omertoso della mala: “Nessuno mi ha sparato“. Morirà dopo tre ore di agonia, fedele al silenzio fino all’ultimo fiato. Per molti anni l’alibi di Al Capone regge, anche perché i pochi testimoni della scena avevano visto dei poliziotti aggirarsi sul luogo della strage. La tesi sposata fu, a lungo, quella di un’esecuzione messa a segno da agenti corrotti che volevano tappare la bocca a testimoni scomodi che sapevano troppo.

*Solo 40 anni dopo un vecchio gangster di origini lituane, Alvin Karpis, ha gettato nuova luce sui fatti: Bugsy Moran fu l’unico superstite. Una delle vittime, particolarmente sfortunata, gli somigliava moltissimo e venne uccisa al suo posto; Moran invece fuggì e sparì per sempre*.

L’INIZIO DELLA FINE

Al Capone rimane così, ma ancora per poco, l’unico e incontrastato padrone di Chicago. Il boss dei boss. La sua foto campeggia sulla copertina del prestigioso ‘Time‘. E’ tra gli italiani più famosi del mondo, alla stregua di Primo Carnera, Rodolfo Valentino, Benito Mussolini e Guglielmo Marconi.

1101300324_400

L’espansione del suo impero malavitoso si traduce nella colonizzazione di interi quartieri: il sobborgo di Forest View viene da tutti ribattezzato in Caponeville, un’area dove gli uomini del clan girano armati per le strade al pari di una forza di polizia.

In questo eccezionale documento filmato viene descritta  una delle auto blindate appartenute ad Al Capone. Tra le dotazioni della vettura, vetri antiproiettile, radio e sirena della Polizia.



Proprio a Caponeville, sempre nel 1929, Scarface finisce in manette per possesso illegale di un’arma da fuoco, ma viene subito rilasciato. L’episodio, tuttavia, è un segno allarmante. Il vento sta per cambiare.

al-capone

Al tramonto dei ruggenti Anni ’20 Capone è ancora sulla cresta dell’onda. Molti continuano a rispettarlo. La gente lo ama per la solidarietà concreta che rivolge ai poveri. Dopo il crac di Wall Street del 1929, migliaia di americani sono in ginocchio, ridotti alla fame. Capone organizza per loro mense gratuite. Attraverso alcune sue aziende, specializzate in ristorazione e abbigliamento, distribuisce cibi e vestiti. Migliaia di famiglie riescono, così, a tirare avanti con il pane e le minestre della mafia.

Attraverso le opere di beneficienza Al Capone conquista consensi popolari, ripulisce la propria immagine pubblica, guadagna credibilità sul terreno sociale e politico. Per molti osservatori è il suo errore più grande, quello che scatena la reazione dell’establishment politico americano. L’ex barista di Brooklyn inizia a dare fastidio. Invade campi che non gli appartengono e va fermato ad ogni costo. Il nuovo decennio sarà per lui messaggero di guai e dispiaceri. Quando il vento inizia a soffiare in direzione contraria, Al Capone gode di una rete di protezione ancora solidissima. Anni di indagini sui delitti non avevano prodotto un solo testimone, un solo indizio, frustrando la tenacia degli incorruttibili agenti speciali che l’FBI gli aveva messo alle calcagna. Inattaccabile sul terreno dei reati criminali, Al Capone deve e può essere aggredito su altri fronti, quello fiscale ad esempio. Ad intaccare la forza del boss intervengono, nel frattempo, altri fattori. Capone è minacciato dagli appetiti, mai sopiti, dei clan concorrenti. Dal 1930, quando i pezzi da novanta di New York, Lucky Luciano e Frank Costello, gli tarpano le ali, la figura di Scarface assume una dimensione quasi scespiriana. Teme di essere ucciso ed è tormentato dagli incubi. Il cerchio attorno a lui si stringe.

caponeleavesct

NELLA RETE DEGLI ‘INTOCCABILI’

Il Governo americano dibatte sulla possibilità di tassare i redditi provenienti da attività illecite: ottenuto l’avallo legislativo, una squadra di agenti federali dell’ufficio delle imposte, comandata da Elliot Ness (l’agente che sarebbe stato interpretato sul grande schermo da Kevin Kostner nel già citato ‘The Untouchables – Gli intoccabili‘) si guadagna l’opportunità di indagare sugli affari riconducibili al boss. La squadra, definita appunto Gli intoccabili, è sempre alle costole di Capone.

Gli integerrimi agenti dell’FBI analizzano ogni più piccolo movimento finanziario sospetto senza arrivare però a nulla: nulla infatti è direttamente intestato a Capone, il quale agisce sempre attraverso prestanome. Ma proprio quando ogni sforzo investigativo  sembra infrangersi contro muri di gomma, ecco saltar fuori una minuscola traccia. Accade che nel corso delle minuziose verifiche l’attenzione degli uomini di Ness venga sollecitata da una piccola anomalia, un’impercettibile crepa rappresentata da un minuscolo foglietto di carta nel quale compare il nome di Al Capone. Tutto conduceva a un reddito che Scarface avrebbe dovuto denunciare. Il pizzino diventa, così, la prova dell’evasione fiscale, la chiave di volta dell’intera indagine e viene utilizzato per arrivare ad altre prove e, alla fine, per delineare un vasto impianto accusatorio. Grazie al lavoro del pool, Al Capone viene rinviato a giudizio per evasione fiscale, con ben 23 capi d’accusa.

Al, sicuro di farla franca, ingaggia i due migliori avvocati di Chicago, con una parcella allora astronomica di 72mila dollari, abbastanza per comperare una decina di immobili in città. Il giornalista Vittorio Zucconi, dalle pagine de la Repubblica’ di domenica 21 gennaio 2007, ricostruisce così l’atto finale di quel processo:

Al Capone si dichiarò colpevole, convinto dagli avvocati di poter patteggiare col giudice in cambio della ammissione che in effetti doveva al fisco 282mila dollari. Ma era una trappola. Appena ricevuta l’ammissione scritta, il giudice ritirò l’offerta del patteggiamento”.

IL CARCERE E LA FOLLIA

Capone è imbestialito e gioca l’ultima, disperata carta: corrompe la giuria popolare che però all’ultimo istante, la sera prima del verdetto, viene sostituita completamente. I nuovi giudici raggiungono una sentenza di colpevolezza, il massimo che la legge consentisse: 10 anni in penitenziari federali più 1 anno in un carcere di massima sicurezza.



Nel maggio del 1932, la stella di Alphonse Capone, spuntata con il Proibizionismo, tramonta con la fine del Proibizionismo. Nella prima cella dove viene rinchiuso, nel penitenziario federale di Atlanta, chiede di portare tre cose: un mazzo di carte, una foto del figlio Sonny e l’Enciclopedia Britannica che legge avidamente dalla A alla Z. Ottiene lussi e privilegi: dalla cella continua a gestire i suoi interessi.

Viene allora trasferito nel carcere-fortezza di Alcatraz, struttura dalla fama sinistra situata su un’isola al largo di San Francisco. Tutti i suoi contatti con l’esterno vengono interrotti. Di notte, narrano le cronache, l’ex boss di Chicago è scosso dagli incubi. Urla, implora, immagina di essere trucidato a raffiche di mitra dai suoi avversari. Si aggrappa alla religione, è colto da crisi mistiche. Sono i segni della sifilide, ormai all’ultimo stadio, che ha piantato nella sua mente il germe della follia. Il feroce gangster di un tempo è ormai un idiota, un mite e inoffensivo demente.

343x500x2

Alphonse Capone viene liberato nel 1939 (due anni gli vengono condonati per la buona condotta) e si ritira in Florida, con la moglie, nella villa che aveva comperato per 52mila dollari.

Chi lo visita dopo la scarcerazione, a meta’ degli Anni ’40, lo trova ancora di buon aspetto, ma la famiglia sa che ormai vive in un mondo a parte. Muore di arresto cardiaco, in seguito a ictus, il 25 gennaio 1947 a soli 48 anni. Sulla sua tomba, nel cimitero del Monte Carmelo a Chicago, è incisa una preghiera. My Jesus Mercy. Pietà, Mio Gesù“.


di Patrice Mersault – Genoa News Chronicle / Io, reporter