MUSSOLINI

LA MALAPIANTA

PREMESSA – Cos’è il Fascismo?

In ordine sparso il fascismo è: violenza, vendetta, prevaricazione, legge del più prepotente, razzismo, insofferenza verso il diverso, odio verso le minoranze, disprezzo o malcelato fastidio per deboli e disabili, ipocrisia, qualunquismo, paternalismo, maschilismo, patriarcato, menefreghismo, squadrismo, stupro, delegittimazione dell’avversario, eliminazione dell’avversario, pensiero unico, case chiuse, massacro del Circeo, sottomissione della donna, “tutte le donne sono puttane tranne la mia”, irritazione verso il termine diritti, negazione delle libertà (di stampa, di opinione, di critica, di pensiero, di espressione), militarizzazione della società, società-caserma, ordine apparente – disordine morale, appiattimento, totalitarismo, tortura, G8 di Genova, sadismo, dittatura, stragismo, ignoranza, pena di morte, culto della personalità, culto dell’Impero Romano, patriottismo sovranista, chiusura, revanscismo, conservatorismo, bullismo, incapacità genetica di riconoscere e pronunciare il termine antifascismo, il valore della Costituzione italiana grazie al quale anche loro, fascisti e post-fascisti, possono esprimersi e addirittura governare.

P.S. Molti dei concetti e dei riferimenti (aberranti) sopraelencati vantano ancora oggi numerosi consensi, più di quanto si possa realisticamente immaginare

CONTINUITA’, CONTIGUITA’

Tratto dal libro “Dalla stessa parte mi troverai” di Valentina Mira (Finalista Premio Strega 2024)

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Il 7 gennaio 1978, davanti a una sede del MSI (Movimento Sociale Italiano) nel quartiere Appio Latino, a Roma, vengono uccisi a colpi di arma da fuoco due attivisti di destra. Da quel momento, i morti di Acca Larentia diventano icone intoccabili del neofascismo.

La storia, raccontata con passione e rigore da Valentina Mira, ricomincia il 30 aprile 1987, quando viene arrestato Mario Scrocca (foto sotto), un militante di estrema sinistra. Secondo gli inquirenti, Scrocca avrebbe fatto parte del commando che nove anni prima colpì ad Acca Larentia. Lo troveranno cadavere ventiquattro ore più tardi, impiccato in una cella di Regina Coeli. Ma troppe cose non tornano… 

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Da bambina pensavo che fosse un grosso mirino. Non avevo tutti i torti: un tempo lo fu. E’ dipinta di nero sull’asfalto, ed è talmente grande che si può vedere perfino da Google Maps. Basta digitare “via Acca Larentia” nella barra di ricerca, zoomare un po’, e appare lei. La croce celtica. Una croce celtica davvero grossa. Occupa quattro numeri civici per l’esattezza…E’ il 2008. Come ogni anno da trent’anni, cioè da quel 7 gennaio del 1978, in corrispondenza della croce celtica e per la via e le strade circostanti si raduna tutta l’estrema destra di Roma…Sarà che ho sedici anni. Sarà che sono ignorante. Sarà che mi hanno detto che certe cose non esistono più, che si sono estinte come i dodo. Sarà che ci ho perfino creduto. Mi guardo intorno e penso che sì, Roma sarà pure trafficata. Ma tutta questa gente non è del quartiere. Sgrano gli occhi davanti a uno spettacolo tra il grottesco e il patetico. Ci sono uomini, molti. E ragazzi. E qualche vecchio. Ci sono perfino delle donne, pochissime. Sono tutti vestiti di nero, come a un funerale. Molte teste rasate e qualche bomber. Diversi giornalisti. Dalla croce celtica gigante in giù e tutt’intorno, il corteo marcia triste e solenne manco fosse una processione. Poi si arresta d’improvviso.

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Una voce maschile grida: “Camerati, aaattenti!”. Si mettono sull’attenti. La voce maschile grida ancora: “Per tutti i camerati caduti…”. Non lo fanno neanche finire. Dev’essere una coreografia collaudata, perchè gli rispondono all’istante con un saluto romano di massa – braccia destre puntate al cielo, che per tutta risposta gli sputa addosso. Sotto la pioggia urlano: “Presente!”. La voce maschile inizia a fare nomi che non conosco, mi sembra di essere a scuola durante l’appello. In prima ora quando vorresti essere rimasta a letto. E invece i partecipanti, tutti esaltati, continuano ad alternare quei nomi con i saluti romani più entusiastici, e a gridare a ritmo, accompagnando gli urli con il braccio teso. “Presente!” “Presente!” “Presente!” Scuoto la testa, spaventata e incredula: mi avevano detto che raduni simili non esistevano più. E questi da dove sono sbucati? Perché non me ne sono accorta prima? Lancio un’ultima occhiata alla croce celtica dipinta di nero nel cuore del mio quartiere. D’un tratto, mi sembra che lo ferisca. Una cicatrice che riprende a sanguinare. O un mirino: spara qui. La guardo, li guardo, mi viene da fargli una boccaccia. Non la faccio, scappo via.

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Una volta a casa…il telegiornale mostra le figure di nero sotto la pioggia, poi l’inquadratura si stringe su una donna bionda di bassa statura con una corona di fiori in mano. Oddio, in realtà non so se sia davvero di bassa statura. Di sicuro il tipo che le regge l’ombrello è più grosso di lei. Il nome dell’uomo che la protegge dalle gocce è Giuliano Castellino. Leader di Forza Nuova, ha collezionato denunce di vario genere, ma tutte dentro una stessa cornice politica. La donna bionda a cui tiene l’ombrello si chiama Giorgia Meloni. Nel 2022 diventerà Presidente del Consiglio. Nel 2008 è Ministro della Gioventù. Le telecamere di qualche giornalista la riprendono mentre deposita una corona di fiori sulla croce celtica più grossa che Google Maps abbia mai immortalato”.

Siamo nel 2024…mentre scriviamo, Valentina Mira, autrice del libro, è minacciata di morte…


Ed ora torniamo indietro, al tempo in cui un uomo, Benito Mussolini, gettò il seme della malapianta che cambiò gli italiani.

Testo liberamente tratto da “L’uomo che voleva diventare Cesare”, film di Serge De Sampigny  Produzione Histodoc con la collaborazione di France Televisions, Rai Documentari e Histoire Tv

Trascrizione, inserti e impaginazione a cura di Fabio Tiraboschi – Genoa News Chronicle 

Video tratti dall’Archivio dell’Istituto Luce


Per molto tempo è stato considerato perlopiù un buffone, una semplice commistione di farsa e di forza. Passato in secondo piano rispetto alla figura di Adolf Hitler, l’uomo che ha trascinato l’Italia nella Seconda Guerra Mondiale, è uno dei dittatori più celebri della Storia, ma anche uno dei più derisi: Benito Mussolini. Il 29 aprile 1945, alla vigilia del suicidio di Hitler, il suo cadavere è esposto pubblicamente in Piazzale Loreto, a Milano; eppure proprio qui, appena pochi mesi prima, Mussolini era acclamato come un dio vivente. Lo chiamano Duce, cioè condottiero. Un secolo fa, nel 1922, si impadronisce dell’Italia con la violenza e l’inganno e inventa il fascismo. Per oltre vent’anni impone il totalitarismo al suo popolo e diventa uno stratega ammirato dai dittatori di tutto il mondo.

Questa è la storia di un uomo avido di potere, megalomane, che ha voluto trasformare l’anima del suo popolo e l’ha portato alla catastrofe.

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Questa storia tragica inizia negli anni Venti del Novecento nella splendida Italia, il paese di Michelangelo, di Dante e di Verdi. Nonostante il suo passato glorioso la nazione è in crisi: il reddito medio è più di tre volte inferiore a quello dei francesi e degli inglesi; per sfuggire alla povertà milioni di italiani scelgono l’emigrazione. Regolamenti di conti, omicidi, tumulti. Dopo la vittoria del 1918 conquistata da Francia, Gran Bretagna e Italia, i disordini minano la democrazia italiana. Ovunque i contadini si impadroniscono delle terre incolte, gli operai dichiarano scioperi e si rivoltano contro i padroni. Le riforme sociali promesse durante la Guerra non sono mai state attuate. In Italia i sindacati e i partiti di sinistra sono determinati a sfidare la borghesia; a loro si oppone un uomo dall’atteggiamento rivoluzionario, Benito Mussolini: è il feroce avversario degli scioperanti, l’uomo che vuole cambiare il destino dell’Italia.

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Maestro di scuola diventato giornalista, ha appena fondato un movimento, il fascismo, a Milano nel Palazzo Castani di Piazza San Sepolcro prestatogli da alcuni industriali. Il termine fascismo deriva dai fasci, simboli di potere nell’antica Roma. Mussolini adotta il saluto romano e fa indossare ai suoi uomini un’uniforme, la camicia nera, e a volte un elmetto con un teschio. Le armi dei fascisti sono dei bastoni, i manganelli: li usano per terrorizzare la sinistra. Il loro motto recita “me ne frego”. Mussolini dispone di 300mila uomini che si impossessano della strada: guidano i tram al posto dei conducenti in sciopero e assicurano la manutenzione delle pubbliche vie, sono in gran parte ex soldati inclini alla violenza estrema: tutti sognano la rivoluzione, una rivoluzione di destra per rimettere ordine nel Paese e trasformare l’Italia in una potenza mondiale. Ovunque i fascisti scatenano il terrore contro i cosiddetti “rossi”, con sanguinose spedizioni punitive.

Chiedo un uomo feroce che abbia l’energia di spezzare e di colpire senza esitazione!

Mussolini è convinto che annientando i marxisti raggiungerà il potere. La sua ambizione è guidare l’Italia da solo, a qualunque prezzo. Mussolini tortura gli avversari costringendoli a bere olio di ricino, poi li umilia pubblicamente facendoli camminare nelle piazze sporcati dalle feci non trattenute. Mussolini conosce bene la sinistra che perseguita, prima della guerra ne faceva parte.

Mussolini nasce a Predappio, in Romagna, all’epoca una regione socialista. Ricorda un’infanzia rude, tra una madre maestra e devota e un padre fabbro, anarchico e schedato dalla Polizia tra i soggetti pericolosi. Come lui, Benito Mussolini finisce diverse volte in prigione (foto sotto) per agitazioni socialiste, in particolare nel 1911, quando l’Italia si lancia alla conquista della Libia aumentando le tasse.

Anti-colonialista, Mussolini organizza una sommossa per impedire la partenza dei soldati. I suoi nemici dell’epoca sono gli stessi di suo padre: i militari, gli industriali e i preti, tutte categorie che più tardi lo sosterranno. E’ un personaggio singolare: legge molto, suona il violino da solo in campagna per ore, è una curiosa combinazione di vigore e sensibilità, ma è sempre la brutalità ad avere la meglio. Da adolescente violenta una vicina di casa e lo racconta in un libro. Più tardi sposa una ragazza della zona, Rachele Guidi (foto sotto): chiede la sua mano brandendo una pistola e minacciando di uccidere lei, i suoi genitori e se stesso, se rifiutasse.

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Teatrale, impulsivo, è rimasto ferito al fronte nel 1917 e l’inferno delle trincee gli ha cambiato la vita. Per lui i sacrifici dell’Italia non sono stati ripagati dagli alleati. 600mila morti, un milione di feriti e una vittoria mutilata, secondo l’espressione dell’epoca. Diventato nazionalista, Mussolini crede solo nella violenza. La guerra è la prova dei popoli, dicono i fascisti. Dirige il quotidiano “Il Popolo d’Italia” che ha fondato a Milano con il sostegno di diversi industriali. Tre anni dopo la Rivoluzione Russa del 1917, gli imprenditori lo considerano ormai un baluardo contro il comunismo; in cambio Mussolini presta loro i suoi uomini per fermare gli scioperi e proteggere i loro beni. Nel 1922 l’Italia è pronta a soccombere all’ordine fascista e non sarà certo la democrazia parlamentare a impedirlo. A Roma re Vittorio Emanuele III di Savoia, chiamato Pippetto dagli italiani a causa della bassa statura, teme per la sua corona. Spetta a lui nominare il Primo Ministro e per salvare il trono è pronto a negoziare. Attorno a lui c’è una classe politica allarmata dai fascisti, ma incapace di costruire un fronte comune. Il Primo Ministro dell’epoca è Luigi Facta, un riformatore moderato; dopo mesi di impotenza vorrebbe fermare Mussolini, ma è solo un’illusione.

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Nell’ottobre del 1922, uno di quei momenti tragici in cui la Storia accelera, l’Italia cambia per sempre. La Marcia su Roma diventa un modello di presa del potere per gli apprendisti dittatori, soprattutto per Hitler che dalla Germania lo segue attentamente. A Napoli 40mila militanti fascisti si radunano per il Congresso Nazionale del partito. Mussolini, che si è fatto eleggere deputato un anno e mezzo prima insieme a una trentina di camicie nere, decide di incalzare la Storia e di partire all’assalto di Roma per prendere il controllo del paese; da mesi la sua cerchia lo spinge a rischiare il tutto per tutto. Dopo aver sfilato per diverse ore in città, Mussolini lancia un ultimatum da Piazza del Plebiscito:

“O ci daranno il Governo o lo prenderemo calando a Roma” 

E’ un azzardo: se il Governo decide di mobilitare l’esercito e di aprire il fuoco per lui sarà la fine, andrà in carcere. Quella sera stessa riparte per Milano mostrandosi ragionevole; lascia a Napoli i suoi militanti scatenati e attende…l’insurrezione comincerà il 27 ottobre. Alcune camicie nere anticipano i tempi: senza aspettare il 27 mettono a ferro e fuoco alcune città, Pisa, Cremona, mentre a Milano, come se niente fosse, Mussolini si reca al Giornale, va all’Opera e passeggia con sua moglie. In realtà ha già dato l’ordine di marciare sulla Capitale. La prova di forza può trasformarsi in massacro in qualsiasi momento. A Roma, però, li attende una sorpresa: in città i fascisti non incontrano alcuna resistenza. Dopo tre anni di guerra civile lo Stato è allo sbaraglio. In effetti tutto dipende dal Re. Il Primo Ministro Facta gli chiede di proclamare lo stato d’assedio e di schierare l’esercito; per timore di essere trascinato nella crisi e per evitare il caos Vittorio Emanuele rifiuta la prova di forza. Cinque giorni dopo l’ultimatum, offre a Mussolini e a tre suoi fedelissimi alcuni Ministeri, invano. A Milano l’interessato rifiuta – parole sue –  “questo piatto miserevole di lenticchie ministeriali”. O avrà i pieni poteri o sarà il caos. L’Italia è sull’orlo del baratro. Gli industriali si pronunciano ufficialmente a favore di Mussolini e il Re cede: gli propone di diventare Primo Ministro. I militanti partiti da Napoli raggiungono Roma per accogliere Mussolini; con lui, presto, la loro vita cambierà. Indossando il cappello a cilindro, il bullo di Predappio, l’uomo delle bastonate, molto più arguto di quanto non sembri, viene ricevuto dal Re e nominato Capo del Governo. “Se ci fosse papà”, sussurra Mussolini a suo fratello. Il suo colpo di stato legale è un capolavoro. L’ordine fascista con i suoi colpi di frusta, le sue grida e i suoi omicidi si è messo in moto e l’Italia non gli resisterà a lungo.

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Si è stabilito a Palazzo Chigi, nel cuore di Roma e adesso può imporre il totalitarismo al suo popolo e realizzare un sogno: trasformare la società italiana in una società fascista. Per farlo però deve ottenere i pieni poteri e ne è ben lontano: il Re e il Parlamento glielo impediscono, i giornali sono ancora liberi di scrivere ciò che vogliono e i sindacati di proclamare gli scioperi. E’ ancora a metà strada. In quanto Capo del Governo, Mussolini si è attribuito i Ministeri dell’Interno e degli Affari Esteri, per conquistare gli altri deve procedere nell’ombra; questa volta usa un metodo del tutto diverso: la seduzione. D’un tratto avvicina due dei suoi principali avversari, due ex primi ministri. E’ ovunque, sorride e inscena l’apertura ai conservatori, che disprezza, ma di cui ha bisogno per ottenere la maggioranza. La sua argomentazione principale è il timore del caos comunista, la strategia lo ripaga. I parlamentari moderati gli concedono i pieni poteri per un anno; il tempo, pensano, di domare la sinistra. Mussolini ne approfitta per sopprimere le prime libertà civili. Si calmerà, pensano in tanti. Nel 1923 fa modificare la legge elettorale e riesce a vincere le elezioni politiche del 1924. Mussolini diventa rispettabile. Tuttavia, oltre alla carota, continua ad usare il solito metodo: il bastone. I suoi sgherri, diventati la milizia ufficiale del regime, tartassano le roccaforti della sinistra e umiliano i politici, perseguitano i sindacalisti e arrivano persino a legarli per i piedi e trascinarli dietro i camion. Il terrore nero dilaga durante le elezioni. Nel 1924 alcuni fascisti rapiscono il baluardo dell’opposizione in Parlamento, il socialista Giacomo Matteotti (foto sotto) e lo accoltellano dentro un’automobile; il suo cadavere viene ritrovato due mesi dopo, in campagna. E’ una vicenda tragica che sconvolge l’Italia.

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Mussolini rischia di perdere tutto, eppure è molto più abile di quanto sembri; diventa il bersaglio di sei attentati che intende sfruttare a proprio favore, Un proiettile gli rompe il naso e lui approfitta delle circostanze. “L’Italia è minacciata più che mai”, dichiara. Con il pretesto della difesa dello Stato fa votare al Parlamento le leggi chiamate fascistissime. Scritte da tempo, le tira fuori dal cassetto al momento opportuno per abrogare definitivamente tutte le libertà civili. Queste leggi proibiscono tutti i sindacati, eccetto il sindacato fascista ufficiale, autorizzano solo i giornali amici, proclamano il partito unico, quello fascista; il Parlamento vota ciò che gli viene imposto e non ha più alcuna utilità. In quanto al Re rimane solo un mero simbolo. In Italia, a metà degli anni Venti, la democrazia  è morta, viva il Duce. Per indorare la pillola Mussolini usa una vecchia ricetta: l’orgoglio nazionale. Vuole mettere fine alle ataviche insicurezze italiane e proporre un sogno: trasformare l’Italia in una potenza. Per blandire il popolo Mussolini evoca l’Impero Romano e il Rinascimento italiano.  “E’ finito – dice – l’esilio all’estero. Non si udiranno più i luoghi comuni sugli Italiani, i maccheroni, i suonatori di mandolino, i treni in ritardo…“. Per vent’anni, in cambio della libertà perduta, il Duce offre al popolo compensazioni simboliche. Mussolini è il nuovo Cesare, uno dei primi populisti, anche se il termine ancora non esiste, che davanti agli occhi sbalorditi del suo popolo promette di mettere fine alla decadenza. Governa a colpi di battaglie: la battaglia del grano per l’autosufficienza alimentare, la battaglia per la lira per la sovranità nazionale, presto arriverà la battaglia per la razza. Per guadagnare consensi, lancia alcune grandi opere come la bonifica dell’Agro Pontino, una regione povera a sud di Roma inondata fin dall’antichità e inadatta all’agricoltura. Il Duce distribuisce le terre, costruisce nuove città, promette la fine dell’emigrazione e un nuovo rinascimento italiano. Poco importa che i Governi precedenti abbiano attivato progetti simili. Tutti applaudono il superuomo.

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Lo stratega Mussolini affronta questioni mai risolte, come lo screzio con il Vaticano che risale ai tempi dell’Unità d’Italia, quando il Papa è stato spogliato dello Stato Pontificio. Mussolini, l’anticlericale, accetta di introdurre il crocifisso nelle scuole, di instaurare il cattolicesimo come religione di Stato e di riconoscere la sovranità del Vaticano. Firma i Patti Lateranensi, un miracolo per i cattolici, così numerosi in Italia. Comprende prima di chiunque altro il potere dell’immagine, e ormai le telecamere lo accompagnano dovunque. Nel 1924, quando rovescia la democrazia, affida all’Istituto Luce la missione di celebrare lo Stato, ovvero la sua persona. In tutte le sale cinematografiche italiane vengono proiettati notiziari sul Duce, che lui stesso controlla.

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“Il cinema è l’arma più forte”, afferma. E’ anche l’occasione per esaltare la politica sociale del regime che si limita a rimaneggiare vecchie idee, riorganizzando le soluzioni esistenti. In pratica solo chi è impiegato nell’industria trae vantaggio dalla sua politica. Per risollevare gli animi crea il Ministero della Cultura Popolare, la trappola di Mussolini. In Italia gli operai hanno perso il diritto di sciopero, ma usufruiscono di sconti del 70% sulle tariffe del treno per andare in campagna o in spiaggia nei fine settimana. La folla, come le donne, è fatta per essere violata”, afferma Mussolini in privato. All’inizio degli anni Trenta Mussolini seduce la gran parte del popolo italiano, comprese alcune delle sue future vittime; prima delle persecuzioni antisemite, anche alcuni ebrei lo ammirano. Mussolini è lo specchio nel quale si guardano milioni di italiani: “se il Duce ce l’ha fatta, tutta Italia può farcela”.

Mussolini

Abita in una delle ville più sontuose di Roma, Villa Torlonia; vi ospita grandi personalità mondiali come Gandhi. Churchill lo incensa: “se fossi italiano – afferma nel 1926 – di certo sarei stato con Mussolini fin dall’inizio”. In questo luogo da sogno il Duce continua a giocare con la cinepresa. E’ il primo leader al mondo a esporre la sua famiglia, in particolare sua figlia Edda: è tra le prime donne italiane a guidare la macchina e a indossare gonne corte; presto sposerà un conte. Mussolini e sua moglie Rachele hanno cinque figli, tra cui Vittorio e Bruno futuri piloti di bombardieri. Il Duce è lo stereotipo dell’uomo latino. “Per mio padre – dirà Edda – le donne dovevano stare a casa, fare i figli e portare le corna”. Mussolini non nasconde le sue amanti, in particolare la ricca borghese veneziana Margherita Sarfatti (foto sotto) con cui ha una relazione da circa 15 anni.

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Fine intellettuale, la Sarfatti gli insegna a comportarsi in società, gli fa conoscere uomini d’affari e artisti e scrive la sua biografia “Dux”, un successo di vendite in Europa e in America.

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E’ ebrea, ma non è un problema…non ancora, ma quanto durerà? A dieci anni dall’ascesa al potere, Mussolini si radicalizza sempre di più. Irretiti dalle seduzioni del regime, agli italiani sfugge che non è un tiranno all’antica come i tanti che hanno punteggiato la storia del Paese; è un dittatore moderno, totalitario che non si accontenta di esercitare il potere. Il Duce vuole cambiare il suo popolo, trasformarlo dall’interno. Ecco l’uomo nuovo, l’uomo dei sogni, l’uomo fascista che fa tremare il terreno e agita il coltello, il nuovo modello per gli italiani, Con questi cittadini-soldati fanatici, obbedienti, implacabili che sanno di essere odiosi, Mussolini è certo di conservare il potere per decenni.  I “balilla” sono la gioventù mussoliniana a cui il regime inculca fin dalla più tenera età la mitologia e i valori guerreschi. I suoi nemici non sono più solo i socialisti e i comunisti come negli anni Venti, bensì tutti coloro che escono dagli schemi, che pensano liberamente e che rifiutano di inchinarsi di fronte al dittatore. Nella società totalitaria il Duce si intromette in tutto, controlla tutto. In ogni paese il partito, integrato nell’amministrazione, è diretto dalle camicie nere, sorveglia tutte le famiglie. Criticare il Duce equivale ad attaccare l’Italia: chiunque deroghi dalla norma è denunciato, arrestato, incarcerato, come il filosofo Antonio Gramsci (foto sotto), uno dei fondatori del Partito Comunista Italiano che diventerà il simbolo di una generazione di antifascisti.

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Per far tacere gli antifascisti Mussolini crea il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato che ha il potere di condannare a morte o a dure pene detentive gli imputati per reati d’opinione. “La violenza non è immorale, – afferma Mussolini – quando è risolutiva di una situazione cancerosa è moralissima, sacrosanta e necessaria”. La polizia fascista manda al confino, senza processo, 15mila oppositori. Il confino è un nuovo sistema repressivo a metà tra il campo di concentramento e gli arresti domiciliari. I detenuti sono rinchiusi in baracche o case nei paesi, isolati, separati dalle loro famiglie; vi restano per molti anni e alcuni vi muoiono. E’ una repressione meno violenta rispetto a quella della Germania nazista, ma altrettanto efficace. Per sopravvivere gli italiani devono adeguarsi al regime, dissimulare le proprie opinioni e resistere. Una cappa di piombo prevista da pochi e contro la quale è ormai impossibile agire. In Italia tutta l’opposizione è ammutolita, sia a destra che a sinistra; gli unici a esprimersi sono coloro che hanno scelto l’esilio, in particolare in Francia che conta 30mila rifugiati politici su un milione di immigrati italiani. A Parigi, la capitale dell’antifascismo, informano l’opinione pubblica sulla realtà del regime e anche lì, a volte, muoiono: Mussolini non esita a farne eliminare alcuni come i fratelli Nello e Carlo Rosselli, per mano dell’organizzazione di estrema destra Cagoule. Il mondo si indigna, ma il Duce risponde: “Me ne frego”. Il suo regime ispira altri dittatori. “Uomini come Mussolini nascono ogni mille anni”, afferma Adolf Hitler, fuhrer della Germania dal 1933. Mussolini ha ormai superato i 50 anni. Nel suo ufficio di Palazzo Venezia vive circondato da adulatori, come il Gran Consiglio del Fascismo, che lui stesso ha nominato tra i camerati del partito e del governo, e che non osa contraddirlo. Gode ancora del sostegno degli industriali, dell’esercito e della chiesa. Ha vinto tutto, eppure non gli basta. Mussolini è costantemente insoddisfatto, è sempre più crudele con i suoi collaboratori e li umilia. Bulimico sessuale, fa adattare il piano superiore del Palazzo per ricevere le sue amanti. “Ha anche una donna diversa al giorno”, racconterà la sua segretaria personale. Le donne, selezionate sulla base delle lettere che arrivano da tutta Italia, hanno diritto a un quarto d’ora in privato. La sua ossessione è radicare stabilmente il fascismo tra gli italiani. Comunica con la folla dal suo balcone. Nel 1935 vi pronuncia uno dei suoi discorsi più cruciali: la dichiarazione di guerra all’Impero d’Etiopia.

FACCETTA NERA, RAZZISMO DI STATO

Faccetta Nera

E’ l’inizio di un conflitto coloniale che – pensa – metterà alla prova l’uomo nuovo e rilancerà il suo regime. L’Etiopia, la guerra che molti aspettavano e che Mussolini prepara da tempo. Prima di colonizzare la Libia nel 1911, l’Italia ha già tentato, nel XIX secolo, di impadronirsi dell’Impero d’Etiopia a partire dall’Eritrea e dalla Somalia, ma senza successo. Per l’ex anti-colonialista, l’Italia ha diritto a un posto al sole come gli altri Paesi. Condotta in nome del progresso, ma apertamente razzista, la guerra coloniale di Mussolini è condannata dalla comunità internazionale.

Etiopia

In Etiopia le truppe fasciste impiegano il gas tossico, un’arma di distruzione di massa proibita dai trattati che Mussolini stesso ha firmato. La guerra ha tutte le caratteristiche di un vero sterminio. Il Duce ha dato carta bianca ai suoi soldati, tra cui ci sono i suoi figli, Vittorio e Bruno di 19 e 17 anni. Piloti di bombardieri, presentati come prototipi dell’uomo nuovo, inondano i villaggi di bombe incendiarie. “E’ un lavoro molto divertente”, scriverà Vittorio in un libro, al suo ritorno.

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Mussolini è all’apice della popolarità. Per mostrare al mondo il grande sostegno del suo popolo, organizza una gigantesca raccolta di preziosi, la consegna dell’oro alla Patria detta anche la Giornata della Fede. Centinaia di migliaia di coppie, in comunione con il Duce, donano le loro fedi matrimoniali per farle fondere. “Dio e la Storia, oggi, significano Mussolini”, scrive un leader studentesco. Assetato di riconoscimento, sicuro del proprio destino, Mussolini non intende fermarsi. E’ il 1937, un anno dopo la Guerra di Etiopia, l’anno in cui tutto cambierà. Il Duce è arrivato in Germania per una visita ufficiale, la Germania nazista, la nuova potenza emergente in Europa. Adolf Hitler ha preso il potere quattro anni prima, nel 1933, con oltre un decennio di ritardo rispetto all’Italia. “Mussolini è il miglior uomo di Stato del mondo e nessuno può paragonarsi a lui, neanche lontanamente”, afferma il Fuhrer; è uno dei suoi più grandi ammiratori. In cinque giorni il dittatore italiano sfila per centinaia di chilometri nella nuova Germania, da Monaco a Berlino, ed è ricoperto di onori dai nazisti. “Una simile accoglienza non l’hanno mai data neanche al Re, agli imperatori, a nessuno. Li ho conquistati, sono pazzi di me!“, scrive Mussolini a una delle sue amanti rimasta a Roma. Da un anno Hitler lo lusinga e cerca di farne un suo alleato. Gli ha inviato alcuni emissari per proporgli una ripartizione dell’Europa in due zone di influenza: l’Europa Centrale e del Nord fino al Mar Baltico alla Germania, l’Europa meridionale affacciata sul Mediterraneo all’Italia. Un progetto segreto per il resto del mondo che capita al momento giusto per il Duce. Mussolini lo sogna da sempre, senza averne i mezzi. Allo stadio di Berlino, un Mussolini entusiasta si impegna, in tedesco, ad affiancare Hitler, pur sostenendo il desiderio di pace.

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Con questo avvicinamento Mussolini conta di rilanciare la sua dittatura; è un’occasione da cogliere per frenare il raffreddamento degli animi dopo 15 anni al potere. Mussolini in realtà sa cosa aspettarsi da Hitler: lo conosce dal 1934, tre anni prima, quando è venuto in visita ufficiale a Venezia. Le loro prime discussioni sono state accese e Mussolini ne ha tratto una pessima impressione: “E’ un pazzo, un Attila e anche un maniaco sessuale”, confida il Duce ai suoi collaboratori. Nel luglio del 1934, qualche settimana dopo la visita a Venezia, le due potenze rischiano perfino di venire alle armi quando Hitler tenta un colpo di stato a Vienna e fa assassinare il Cancelliere Dollfuss, il protetto di Mussolini. Il Duce invia diverse divisioni alla frontiera e condanna pubblicamente il razzismo nazista (video sotto).



La tensione è tale che nel 1935, qualche mese dopo la crisi austriaca, Mussolini si avvicina alle democrazie occidentali, la Francia e la Gran Bretagna. Tuttavia la guerra in Etiopia, la guerra sporca che viola il diritto internazionale, fa naufragare ogni accordo. A Ginevra, guidata da Francia e Regno Unito, la Società delle Nazioni condanna l’Italia e le impone varie sanzioni economiche. E’ qui che nel 1936 Hitler fa la prima mossa, rifiutandosi di applicare le sanzioni e riconoscendo all’Italia il diritto di fondare il proprio impero: è una mano tesa che Mussolini afferra immediatamente. E’ uno dei suoi fedelissimi a spingerlo su questa strada, il giovane conte Galeazzo Ciano, suo genero, marito di sua figlia Edda (foto sotto).

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Secondo il diplomatico, membro della nuova élite fascista, l’alleanza tra le due dittature è naturale e Mussolini ha tutto da guadagnare da un avvicinamento a Hitler. Nel 1936 il Duce nomina Ciano Ministro degli Affari Esteri e insieme cercano di concretizzare l’alleanza con la Germania. La guerra civile spagnola è la loro prima operazione in comune. Dal 1936 il Generale Franco, anche lui ammiratore del Duce, ha preso il comando dei nazionalisti contro i repubblicani; chiama in soccorso i due dittatori. Hitler invia in Spagna 7mila uomini, Mussolini dieci volte tanto; tra loro c’è anche suo figlio Bruno, pilota di bombardieri. I tedeschi bombardano Guernica, gli italiani Barcellona. I morti si contano a migliaia. Mussolini pensa che sia un’ottima occasione per temprare i soldati, per scatenare i loro istinti di dominazione e per addestrarli. Tuttavia la guerra è meno trionfale di quanto racconti la leggenda fascista. Dopo una vittoria a Malaga, l’esercito italiano si arena alle porte di Madrid. Mal comandati moltissimi italiani disertano o si auto-infliggono mutilazioni. Anche loro muoiono a migliaia. A Roma Mussolini è deluso e comincia a dubitare degli italiani, “i suonatori di mandolino”, secondo una sua espressione.  Di fronte ai tedeschi il suo prestigio è a rischio, ma lui non cede: “Per fare un grande popolo bisogna portarlo in combattimento, magari a calci in culo!”, afferma. Da qualche mese una donna lo incoraggia, è la sua nuova amante, Clara Petacci (foto sotto), più giovane di lui di quasi trent’anni.

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L’ha conosciuta su una strada vicino a Roma durante una folle corsa in decapottabile. Mussolini la chiama “piccola Servilia” come l’amante di Cesare. “Ti amo follemente e vorrei devastarti”, le dice. “Sei il colmo della bellezza e del potere”, gli risponde lei. Le sue lusinghe sono un’iniezione di energia per Mussolini. Ma c’è un problema: nel marzo del 1938, mentre il suo esercito arranca in Spagna, Mussolini riceve una notizia raggelante, l’ingresso di Hitler in Austria. E’ lo scenario al quale si era opposto nel 1934, in considerazione della sua amicizia con il Cancelliere austriaco. Il Duce viene avvisato il mattino stesso. E’ messo di fronte al fatto compiuto, ha l’impressione di essere stato ingannato e di non contare nulla per i tedeschi. In Europa non è più lui, bensì Hitler ad occupare la scena. Senza Hitler però come potrebbe conquistare l’impero mediterraneo dei suoi sogni?…la Corsica, Malta, la Tunisia, Gibilterra, il Canale di Suez…Alcune settimane più tardi, nel maggio del 1938, il Fuhrer parte per Roma. Il Duce, che l’ha invitato, ha dato ordine di ricoprirlo di omaggi. Mostrando tutti i fasti della dittatura italiana, Mussolini conta di ricordargli il primato che detiene nel fascismo e di imporgli la parità nei loro rapporti. A Roma Hitler viene accolto da Re Vittorio Emanuele, colui che ha nominato Mussolini al governo sedici anni prima; è una pura questione di protocollo, ma è un ulteriore motivo di frustrazione per il Duce che deve seguire i due Capi di Stato a un metro di distanza, prima di vederli allontanarsi verso il Palazzo del Quirinale dove alloggia Hitler. L’indomani mattina Mussolini recupera il suo rango e la corsa al prestigio, cominciata a Berlino, riprende davanti alla folla.

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Manca un anno e mezzo allo scoppio della seconda guerra mondiale. Chi, tra la folla, può immaginare cosa accadrà? Mussolini confida alla sua amante: “Riesco a farlo ridere. Quando Hitler non è in veste ufficiale è molto simpatico, è sempre un po’ in soggezione, devo dire che è rispettoso”. Per sbalordirlo il Duce lo porta a Napoli e organizza per lui una gigantesca  battaglia navale. La Marina è il fiore all’occhiello dell’esercito italiano. In realtà, però, è Mussolini il “maestro”, a rimanere sedotto: da mesi osserva il comportamento di Hitler, il suo modo di imporre la propria legge e di bruciare le tappe nella costruzione della società totalitaria tedesca. Non esita a prendere ispirazione per realizzare il proprio sogno totalitario. A Trieste, senza la pressione di Hitler, Mussolini lancia una nuova battaglia, questa volta contro un “nemico” interno. L’Italia non è mai stata una nazione anti-semita. Nel giro di pochi giorni gli Ebrei, considerati incompatibili con l’uomo nuovo italiano, vengono messi ai margini della società e sono espulsi dall’amministrazione pubblica. Non godono più di diritti, nè di aiuti sociali, diventano cittadini di seconda classe, esclusi dalla giustizia, dall’insegnamento, dalla stampa. “Questi schifosi di ebrei…bisogna che li distrugga tutti!”, afferma il Duce in privato.



Le misure si abbattono sulla popolazione: divieto di dirigere banche e proprietà fondiarie, divieto di matrimonio misto; in nome della difesa della razza italiana, presentata come una razza ariana, 10mila ebrei sono cancellati dalle liste del Partito Fascista, compresi coloro che hanno partecipato alla marcia su Roma nel 1922. I bambini ebrei, inoltre, vengono espulsi dalle scuole. Le leggi razziali lasciano perplessi gli italiani, ma sono ratificate dal Re, applicate dall’Amministrazione Pubblica e appoggiate dalla maggior parte dei militanti. Mussolini introduce l’antisemitismo con uno scopo ben preciso: additando gli ebrei dopo i comunisti, gli scioperanti, gli etiopi, punta a mobilitare di nuovo i militanti e a riportare la tensione nel Paese. “Non vi è che un rimedio – dice – il principio della rivoluzione continua”. Come i ciclisti, se il dittatore smette di pedalare, cade. Qualche giorno dopo il lancio della campagna antisemita, Mussolini torna in Germania su richiesta della comunità internazionale che cerca di evitare una nuova guerra in Europa. Mussolini tiene ancora il piede in due scarpe. Francia e Inghilterra gli chiedono di far ragionare il suo amico Hitler che minaccia di invadere la Cecoslovacchia. La tensione è estrema: l’Europa è sul punto di esplodere e va nel panico. E’ lui, Mussolini, a risolvere la crisi. Di nuovo sotto i riflettori, adulato, inebriato dal ruolo di arbitro fra i grandi, propone un accordo suggeritogli dai nazisti. Tutti firmano il Patto di Monaco: è una prodezza diplomatica secondo la stampa internazionale. Mussolini, il salvatore della pace mondiale, è osannato dal suo popolo. L’illusione non dura a lungo. Appena sei mesi più tardi l’esercito tedesco fa il suo ingresso a Praga, la capitale della Cecoslovacchia, in violazione degli accordi da poco firmati, e questa volta toglie la maschera. Sorpreso dall’attacco, Mussolini rinuncia al ruolo di arbitro e ne approfitta per conquistare l’Albania, un piccolo paese balcanico di fronte alla Puglia. Ai fanatici, però, ancora non basta. Mussolini è più bellicoso che mai. A Berlino il suo amico Hitler ha messo gli occhi sulla Polonia alleata della Francia e della Gran Bretagna…la seconda guerra mondiale si avvicina. Da qualche mese Galeazzo Ciano è in allarme, teme che Hitler trascini l’Italia troppo oltre. “Bisogna stare con Hitler o si metterà contro di noi”, risponde il Duce. Improvvisando, e nonostante le proprie riserve, Ciano si reca a Berlino per firmare un’alleanza militare vincolante con la Germania, il Patto d’Acciaio. E’ un punto di non ritorno: l’ingresso in guerra di uno dei due Paesi presuppone automaticamente il sostegno dell’altro. Per incoraggiare gli italiani Hitler promette loro che non dichiarerà nessuna guerra prima del 1942, di lì a tre anni. E’ un’altra bugia. A settembre i tedeschi aggrediscono la Polonia, la seconda guerra mondiale è cominciata, l’Italia è al centro della Storia, come voleva Mussolini. Ma è un’illusione; gli italiani non andranno mai in Polonia. All’ultimo momento Mussolini disattende il patto con Hitler e non spalleggia la Germania. Il suo esercito, sfinito dalle guerre di Spagna ed Etiopia, è ancora in addestramento. Mancano carburante, armi anticarro, mezzi pesanti. Ci sono molti prototipi, ma non unità operative a sufficienza. In realtà tutti hanno mentito al dittatore sulle reali condizioni dell’esercito, per timore di deluderlo, un meccanismo classico dei totalitarismi. Nella catastrofe, per giustificarsi, il Duce inventa un concetto, la non belligeranza: significa essere in guerra, senza combattere, in attesa della seconda fase. Il momento arriva otto mesi dopo quando la Germania attacca la Francia, ma questa volta Mussolini vuole una parte del bottino, il sud-est della Francia, la Corsica e la Tunisia. Quando la campagna di Francia è vinta per tre quarti da Hitler, il Duce dichiara guerra a Parigi e Londra.



Per gli italiani è l’ora della verità: da quasi vent’anni il Duce promette loro la gloria, ma non immaginano ancora le proporzioni della disfatta che li attende. Lanciati all’assalto delle Alpi, a confine con la Francia, gli italiani non riescono a sfondare. In tre giorni di combattimenti guadagnano appena qualche chilometro verso la Costa Azzurra e la Savoia. In seguito all’armistizio firmato con il Governo di Vichy, Mussolini recupera solo una striscia di terra alla frontiera, molto meno di quanto sperasse. Il peggio però deve ancora arrivare; quando Hitler occupa la Romania, Mussolini decide di lanciare un’offensiva contro in Grecia, uno scatto in avanti solitario e segreto. Informa la Germania solo all’ultimo momento, in occasione di una visita a Firenze: “Fuhrer, siamo in marciaall’alba le truppe italiane hanno vittoriosamente varcato il confine greco-albanese”. Mussolini è certo che andrà tutto per il meglio. Ancora una volta Mussolini sogna.

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Già dai primi giorni la sua offensiva, bloccata dalla strenua resistenza dei greci, si trasforma in catastrofe. Tre mesi dopo l’esercito italiano ripiega nel proprio territorio. E’ un disastro e anche un’umiliazione. L’alleato Hitler viene in suo soccorso e gli bastano tre settimane per sconfiggere i greci e impossessarsi del Paese. Per il Duce il calvario è appena cominciato. Anche in Libia è Hitler a tendergli la mano al punto da inviargli Erwin Rommel, uno dei suoi generali migliori. In vista del Canale di Suez il Duce crede di potersi impossessare dell’Egitto, ma dopo un’avanzata nel deserto, le sue truppe vengono fermate dai britannici. Come se non bastasse Churchill, un tempo ammiratore del Duce, gli sottrae l’Etiopia, la perla del suo Impero, appena cinque anni dopo la conquista. Mussolini è sconfitto, sebbene riesca ancora a nasconderlo. La sua strategia è stata un disastro, soffre di ulcera allo stomaco e dolori alla schiena e placa l’angoscia al comando del suo bombardiere personale sorvolando l’Italia per ore. Tra la depressione e l’euforia, arriva al punto di guidare la sua Alfa Romeo attraverso la campagna. A volte trascorre giorni interi senza mangiare. Accusa gli italiani: Vedo con avvilimento che non ce l’ho fatta a trasformare questo popolo in gente di mordente e di coraggio”. Decide di seguire il suo amico Hitler fino in fondo.

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“Non siamo puttane”, risponde a coloro che insistono perchè si smarchi dai nazisti. Più orgoglioso che mai insiste con il Fuhrer per mandare i suoi soldati in Unione Sovietica a fianco delle truppe tedesche. Ora gli italiani muoiono a migliaia su tutti i fronti. Alla fine del 1942 la guerra è a una svolta: sbarcati in Nordafrica, gli Alleati bombardano l’Italia. Il mito del Duce sta per crollare sotto le bombe. A Roma Mussolini ha fatto costruire un bunker sotto Villa Torlonia per proteggere sua moglie e i suoi figli. Si impunta: “Sono lieto che Napoli abbia delle notti così severe – dice – la razza diventerà più forte”. E’ venuto a conoscenza del genocidio degli ebrei da parte dei nazisti, ma non si commuove. I suoi fallimenti lo assediano e se la prende con i suoi fedelissimi, in particolare con Galeazzo Ciano, suo genero, che ora vuole abbandonare la Germania e a cui ritira il Ministero. La sua amante Clara che lo sorprende a terra, nascosto dietro una poltrona, lo sostiene: “Sei l’uomo della lotta titanica”, gli dice. Quando il dolore diventa troppo intenso ricorre alla morfina e continua a fingere, ma fino a quando? A Roma circolano voci di rivolta sempre più insistenti che lui finge di ignorare.

9 luglio 1943, l’evento che provocherà la sua caduta

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Arrivati dall’Africa, gli Alleati sbarcano in Sicilia (foto sopra). Mussolini tuona: “Non appena i nemici avranno tentato di sbarcare, bisognerà annientarli fino all’ultimo“. Le cose, però, non vanno come previsto. Da tempo, ormai, il Duce parla al vento, le sue truppe non lo ascoltano più. A Roma alcuni gerarchi del Partito e fascisti della prima ora decidono di scatenare la rivolta, appoggiati dal Re e dal mondo imprenditoriale. La rivolta scoppia il 25 luglio 1943 a Palazzo Venezia in occasione di un Gran Consiglio del Fascismo. “Falli arrestare tutti Benito!“, gli suggerisce sua moglie Rachele prima della riunione; Mussolini, però, non ascolta più nessuno. Dopo 21 anni al potere viene destituito in poche ore dai suoi camerati di Partito. Tra i ribelli c’è anche suo genero Galeazzo Ciano. L’ex Ministro vuole rompere l’alleanza militare con la Germania che lui stesso ha firmato nel 1939. Nel frattempo Mussolini viene arrestato per ordine del Re. Confinato sull’Isola della Maddalena, e poi trasferito sul Gran Sasso, in Abruzzo, a cento chilometri da Roma. “La mia stella è tramontata per sempre”, dice.

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Ancora una volta Hitler decide di andare in soccorso del suo alleato: manda un’unità di paracadutisti in piena montagna per liberarlo; una volta atterrati, i tedeschi disarmano i guardiani e filmano la scena. “Duce, sei libero!”, gli dicono. “Fate di me ciò che volete, ho bisogno di riposo“, risponde Mussolini. Sa che la Storia gli sta sfuggendo di mano.



Trasferito in Germania, il Duce incontra Hitler che lo accoglie con le lacrime agli occhi. “E’ un uomo finito, frastornato”, racconterà suo figlio Vittorio presente all’incontro. Sconvolto, lo stratega decaduto non chiede altro che ritirarsi in Romagna, la sua regione natale. Hitler, però, ha altri progetti. Il Fuhrer, che l’ha portato fin lì, gli comunica i suoi ordini. “Non c’è un giorno da perdere – gli dice – Domani annuncerai alla radio che la Monarchia è deposta e che in Italia è nato lo Stato Fascista“. E per essere chiaro Hitler fa capire a Mussolini che in caso contrario Milano, Torino e Genova saranno rase al suolo. E’ sulle rive del lago di Garda, a Salò, che Mussolini fonda il suo nuovo regime. “Una Repubblica Sociale – dice – senza alcun Re”, che richiama l’anti-capitalismo della sua gioventù. Con sua moglie e alcuni dei suoi figli risiede in una villa sul lago per un anno e mezzo, il tempo che gli resta da vivere. La sua amante, Clara Petacci, si stabilisce a dieci chilometri da lì, in un’altra villa. Clara lo spinge a vendicarsi dei traditori: “Oggi è il sangue, è solo il sangue che può lavare l’onta“. “Sono un cadavere vivente“, le risponde il Duce. Tagliato fuori dal mondo, scoraggiato, recluso, vive in una bolla, quasi come un carcerato; non può nemmeno fare il bagno nel lago. Forma un governo con figure di secondo piano del Partito Fascista. Quando si sposta nella cittadina di Salò o quando va a trovare la sua amante è seguito dalle SS che lo proteggono. In teoria il suo regime governa ancora il Nord e il Centro della penisola, ma è solo un’illusione. L’esercito tedesco occupa metà dell’Italia e Mussolini è diventato un fantoccio. Tra firme di autografi e visite diplomatiche, nella finzione di uno Stato sovrano, si impegna a interpretare il proprio ruolo.

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Ha perso tutto, tranne il sostegno di poche decine di migliaia di ammiratori che si uniscono a lui, accomunati dall’odio verso il comunismo, la fedeltà alle alleanze militari e l’ammirazione per la Germania. Mussolini li invia a combattere più a sud, a fianco dei tedeschi e contro gli americani che sono sbarcati vicino a Roma. Qui affrontano l’altra Italia, l’Italia che ha abbattuto il fascismo nel luglio del 1943 e che sta con gli Alleati. Il Duce si lancia soprattutto all’assalto degli oppositori comunisti, socialisti, democratici che non hanno mai smesso di combattere e che dopo vent’anni di dittatura imbracciano le armi. Scoppia una guerra civile ancora più sanguinosa di quella agli esordi del fascismo: rastrellamenti, torture esecuzioni. Migliaia di partigiani vengono liquidati dai nazisti e dai loro alleati fascisti.

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Tra loro ci sono anche numerosi ebrei che nonostante le persecuzioni erano rimasti in libertà; vengono radunati nei campi di transito, in attesa di ripartire verso Auschwitz. Un quarto di loro, circa ottomila persone, non tornerà più. I due dittatori si rivedono un’ultima volta nel luglio del 1944, dopo lo sbarco degli Alleati in Normandia e la caduta di Roma. Hitler è appena sfuggito a un attentato organizzato da alcuni ufficiali tedeschi. Per la prima volta appare a Mussolini vulnerabile, come è lui da molto tempo. Mussolini è intimamente sollevato. “Ti prego di credermi se ti dico che sei il mio unico amico“, gli confida Hitler. Fino alla fine Mussolini obbedisce al Fuhrer. Pur con reticenza, accetta di punire Ciano, suo genero, per il tradimento del luglio del ’43. Arrestato qualche mese prima, Ciano viene fucilato (foto sotto) dopo un processo sommario. Quel mattino stesso sua moglie Edda è venuta a implorare la grazia, ma il Duce – suo padre – è inflessibile. “Quando era in gioco la sorte di Roma – le dice – i padri romani non esitavano a sacrificare i propri figli“.

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Mussolini sa che presto arriverà il suo turno, ma la sua amante Clara lo spinge ancora a lottare. Quando tutto è perduto, il Duce fa un estremo, disperato tentativo: ha convocato i suoi ultimi seguaci in un teatro di Milano. E’ il suo ultimo bagno di folla. Per due giorni torna nel suo vecchio feudo e compare sul balcone di Piazza San Sepolcro dove ha fondato il fascismo 26 anni prima.

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Ha 61 anni, sembra un sonnambulo. “Non mi importa di essere ucciso, lo desidero ardentemente“, scrive a Clara Petacci. Qui a Milano Mussolini tornerà un’ultima volta dopo la liberazione dell’Italia dal nazifascismo; tornerà da morto. Tre giorni prima del suicidio di Hitler, il Duce è fuggito verso il Tirolo a bordo di un convoglio delle SS. Travestito da soldato tedesco, è arrestato da alcuni partigiani comunisti, imprigionato con Clara Petacci, che l’ha raggiunto, e poi giustiziato a Mezzegra, vicino a Como. I loro corpi vengono riportati a Milano, esposti alla folla e appesi per i piedi.

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Maltrattando il suo cadavere, non è un po’ su loro stessi che praticano le sevizie?

Il fascismo, una sbandata collettiva. Nel 1957, in un’Italia diventata democratica, il cadavere del Duce è inumato a Predappio, il suo paese natale. E’ l’inizio di un culto ufficioso e minoritario che non si è mai estinto. Mussolini è stato il primo di una lunga serie di fascisti in tutto il mondo. Un secolo dopo, il suo fantasma incombe ancora sulla memoria degli italiani.

Testo liberamente tratto da “L’uomo che voleva diventare Cesare”, di Serge De Sampigny  Trascrizione e impaginazione a cura di Fabio Tiraboschi – Genoa News Chronicle 

L’INCHIESTA – IL LAGO NERO

Tratto da ‘100 minuti’, programma de La7 scritto e condotto da Corrado Formigli e Alberto Nerazzini.

Un viaggio del giornalista Andrea Palladino, tra il lago Maggiore e Varese, negli ambienti popolati dagli eredi del nazismo. Circoli dove si compiono ancora oggi i riti delle SS o si commemora il compleanno di Adolf Hitler; movimenti che si richiamano direttamente al nazional-socialismo, bar con la svastica sul bancone…

“Lago Nero” è il racconto di un filo che parte dagli anni Cinquanta, quando il nord Italia diventa rifugio per ex ufficiali nazisti, tra i quali il boia delle Fosse Ardeatine…



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