TENCO, MISTERO SENZA FINE

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di Fabio Tiraboschi – Genoa News Chronicle / Io, reporter

1967, IL FESTIVAL PERDE LA SUA INNOCENZA

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«Quando esce da dietro le quinte, quasi non lo riconosco. Teso, gli occhi sbarrati, sembra soffocare in una camicia e una cravatta troppo strette. Arriva davanti al microfono come un automa, canta come un automa. Ha il viso terreo… Mentre canta, in lui colgo una fatica immensa e dolorosa…E come un automa alla fine lascia il palco. Pochi gli applausi. Penso: “Non ce la fa ad entrare in finale”…’Ciao amore, ciao’ viene esclusa con un punteggio bassissimo: 38 voti su 900. Da quel momento tutto si fa confuso, contraddittorio. E le ore che passano tra la ‘bocciatura’ e il colpo fatale di pistola non potranno mai essere ricostruite davvero. Suicidio per protesta contro l’esclusione? Un ‘gioco’ con l’arma che si trasforma in tragedia? E Valeria, la sua donna segreta, era o no riuscita a calmarlo e a rasserenarlo con una lunga e dolce telefonata notturna? E se sì, che cosa fa poi esplodere la ‘follia’? Non lo sapremo mai. Ma di sicuro quella notte scompare un grande artista e nasce il suo mito».

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Brano coinvolgente scritto da Nino Pirito e tratto dal suo libro Volare, il romanzo del Festival(De Ferrari Editore – 1997). Attraverso la forza della testimonianza diretta, il rigore della cronaca e la profondità del giornalismo d’inchiesta, l’autore ripercorre il capitolo estremo dell’esistenza di Luigi Tenco, talento artistico e cantautore al di fuori del tempo, la cui morte, al Festival di Sanremo, scosse l’industria discografica, ma soprattutto lo stagnante mondo perbenista e le paludose certezze dell’Italia democristiana del 1967.

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Pirito, critico musicale e storico della canzone, prima di dedicarsi al giornalismo incise, tra il 1964 e il 1971, quindici ’45 giri’ e quattro album. Nella sua veste di cantautore e musicista incontrò Luigi Tenco ed ebbe occasione di frequentarlo negli studi della mitica ‘Rca. Nel tempo Nino Pirito è diventato uno dei biografi più attenti ed autorevoli dell’artista:

«Tenco era più vecchio di me di sei anni. Era già un personaggio importante e stimato nell’ambiente della musica leggera. Aveva già scritto canzoni stupende come ‘Quando’, ‘Mi sono innamorato di te’, ‘Vedrai vedrai’, ‘Angela’, ‘Un giorno dopo l’altro’, ‘Lontano lontano’.

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Nonostante nell’ambiente molti lo riconoscessero un fuoriclasse, era rimasto volontariamente ai margini. Scriveva e cantava tutto quello che gli veniva da dentro. Era stimato, ma non lo aiutavano certo a farsi conoscere come meritava. E venne al Festival. Quasi alla disperazione, in contraddizione con se stesso, Luigi accettò di andare a Sanremo. Aveva, per una volta, ceduto. E gli fu fatale».

La storia di Luigi Tenco anticipa simbolicamente la deriva e la sconfitta di una generazione, quella catapultata nei febbrili anni ’70, mentre il mistero che circonda la sua morte, dopo decenni, continua a dividere e a suscitare interrogativi. Un tempo lunghissimo segnato da silenzi e rivelazioni postume, inchieste giornalistiche, dolorose riesumazioni, colpi di scena e bugie, oscene manipolazioni e fantasiose ricostruzioni. Una pena senza pace, ma anche il segno che la morte violenta dell’artista è una ferita collettiva non ancora sanata.

Ufficialmente Luigi Tenco si toglie la vita con un colpo di pistola alla tempia destra nella stanza n° 219 dell’Hotel Savoy di Sanremo, dopo una tormentata e sofferta esibizione sul palco del Salone delle Feste del Casinò di Sanremo (il Teatro Ariston ospiterà il Festival solo dal 1977). Le indagini, superficiali e frettolose, alimentano, ancora oggi, dubbi, ombre e polemiche. Troppi, oggettivamente, gli elementi trascurati nella notte tra il 26 e il 27 gennaio 1967: abbastanza per spingere l’opinione pubblica e la stampa ad evocare, a più riprese, lo spettro della ‘verità insabbiata‘ che finirà per accomunare tanti misteri italiani di quegli anni.

Le domande sono sempre le stesse: Luigi Tenco si è ucciso, come ha sempre stabilito l’iter giudiziario, o è stato assassinato da qualcuno che poi ha inscenato il suicidio? Si è tolto la vita nel bel mezzo del Festival di Sanremo o c’è dell’altro? Dov’è morto veramente? E chi ha premuto il grilletto? E’ stato solo un tragico incidente, un colpo partito per sbaglio, oppure, quella notte, è stato commesso un delitto perfetto?

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Il libro Le ombre del Silenzio – Suicidio o delitto? Controinchiesta sulla morte di Luigi Tenco, scritto dal giornalista Nicola Guarneri e dal criminologo e giornalista Pasquale Ragone (Castelvecchi Editore), arricchisce la vicenda di elementi (alcuni già noti) che, ribaltando la verità storica e giudiziaria, rafforzano la tesi dell’omicidio. Le conclusioni dello studio, rilanciate dalla trasmissione investigativa della Rai Chi l’ha visto, sono state depositate alla Procura di Roma e poi trasmesse a quella di Imperia che però ha deciso di archiviare il caso senza neppure disporre un supplemento d’indagine.

I morti vanno lasciati in pace“: con questo commento lapidario che ha la forza di una sentenza, la Procuratrice Capo della città ligure Giuseppa Geremia ha chiarito che l’inchiesta sulla morte del cantautore è definitivamente e ufficialmente chiusa. Resta dunque confermata la verità giudiziaria del suicidio, l’unica presa in considerazione. La richiesta di ulteriori accertamenti è stata decisamente respinta.

TENCO: LA CARRIERA, GLI INCONTRI

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Prima di entrare nel merito degli elementi ignorati dalla Procura, è necessario riavvolgere il filo della memoria e della cronaca che si è fatta Storia. Ricostruire, per quanto possibile, i giorni del Festival più cupo di sempre. Luigi Tenco nasce il primo giorno di primavera del 1938; le sue radici sono a Cassine, località dell’alessandrino. Sua madre, Teresa Zoccola, separata dal marito Giuseppe Tenco, intreccia una breve e passionale relazione amorosa con il giovanissimo Ferdinando, figlio della famiglia torinese presso cui lavora come governante. Rimasta incinta, torna a casa dal marito che però morirà prima della nascita di Luigi. Il bambino, venuto al mondo, verrà registrato all’anagrafe con il cognome Tenco, ma scoprirà la vera identità di suo padre Ferdinando qualche anno dopo. Compiuti i 10 anni, Luigi, con sua mamma e suo fratello Valentino, si trasferisce a Genova, la frontiera del mare. Alla fine del liceo si iscrive all’Università: prima alla facoltà di Ingegneria, poi a quella di Scienze Politiche. Pochi esami sostenuti e una passione crescente per il pianoforte. Decide così di dedicarsi totalmente alla musica.

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Indole malinconica, temperamento insofferente, carattere a tratti introverso con lampi di contagiosa allegria, Tenco è l’anti-divo per eccellenza. E’ famosissimo in Argentina dove è diventato una star interpretando Ho capito che ti amo, sigla di un popolare sceneggiato televisivo.

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A Genova instaura rapporti, anche burrascosi, con Gino Paoli. Sincera e reciproca la stima che lo lega a Fabrizio De Andrè che all’amico Tenco dedicherà la struggente Preghiera in Gennaio. Fondamentale, al giro di boa degli Anni ’60, il periodo romano: l’amicizia con Renzo Arbore e le notti del ‘Piper‘, la Rca, i passaggi televisivi, le donne, l’incontro e la relazione (lui appassionato, lei più coinvolta e innamorata) con Jolanda Gigliotti, affascinante e nevrotica ‘vedette‘ italo-francese conosciuta in tutto il mondo con il nome d’arte di Dalida (foto sotto).

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La società italiana, appena uscita dal boom economico, è investita dalle prime scintille della contestazione. Proprio in quel periodo Renzo Arbore, dagli schermi della Rai, è l’artefice di un’operazione culturale senza precedenti, estremamente innovativa per i canoni dell’epoca. Inventa Speciale per Voiarena televisiva dove i cantanti vengono esposti al tiro incrociato di domande e critiche (anche feroci) da parte dei ragazzi del pubblico. La rivoluzione irrompe in tv.

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Tenco attraversa quegli anni animato da una passione viscerale per la musica. Dal suo tratto inconfondibile e dalla sua natura di compositore autentico nascono grandi ‘pezzi’ sganciati dalla tradizione melodica corrente. Nel 1966 per la RCA incide Un giorno dopo l’altroche diventa la sigla della fortunatissima serie televisiva Il commissario Maigret‘, legata in Italia alla formidabile interpretazione di Gino Cervi. Tra un mazzo di capolavori scrive Li vidi tornare, canzone pacifista che racconta di un bimbo che sogna il ritorno dei morti in guerra. Il brano cambierà gradualmente ‘pelle’ e diventerà Ciao amore, ciaopiù adatto al Festival di Sanremo del 1967, al quale il fragile Tenco accetta di partecipare dopo una travagliata riflessione.

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Lui, artista intransigente e irrisolto, refrattario a qualsiasi operazione smaccatamente commerciale, decide di sfidare il regno della ‘canzonetta’ con una proposta originale e anti-retorica. La strategia dei discografici, intanto, prende corpo: per puntare in alto bisogna accoppiare il cantautore con una cantante più nazionalpopolare. Chi meglio della famosa Dalida? Gli ingredienti della favola ci sono tutti: dal sodalizio artistico alla stuzzicante love-story.

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Luigi, in realtà, è legato segretamente a una donna di nome Valeria. E’ un amore profondo segnato da un fatto drammatico: Valeria lo sta per rendere padre, ma durante la gravidanza perde il bimbo a causa di un incidente stradale. Non solo. Sembra addirittura che Dalida, venuta a conoscenza della storia tra Luigi e Valeria, abbia intimato alla ragazza di farsi da parte (a raccontare questo particolare, al sito Gialli.it, è Aldo Colonna, biografo accreditato del cantautore). Anche Dalida, peraltro, ha una storia travagliata: vive un rapporto tormentato con l’ormai ex marito Lucien Morisse, suo fidato ed ossessivo pigmalione che a sua volta, nel 1970, (come vedremo più avanti) si suiciderà con un colpo di pistola alla testa rinnovando il dolore della cantante.

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Vite maledette che alimentano la curiosità del pubblico e si intrecciano con l’arte e il gossip. I “guru” dello show-business sanno benissimo che i risvolti appariscenti e morbosi potrebbero moltiplicare le attenzioni, accelerare il successo e potenziare la macchina pubblicitaria e commerciale delle vendite discografiche. Luigi Tenco e Dalida: la coppia più bella del Festival, su cui speculare e ricamare, è ormai lanciata ad arte.

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DOCUMENTO – L’ULTIMA INTERVISTA

Nel video che segue possiamo ascoltare Luigi Tenco con Dalida alla vigilia del Festival del ’67 intervistati da Daniele Piombi per Radio Montecarlo. Si tratta di un documento eccezionale. L’artista parla di Ciao Amore Ciao. Sarà, purtroppo, la sua ultima intervista radiofonica.



FESTIVAL A MANO ARMATA

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Luigi Tenco e Dalida, coppia nell’arte e nella vita. Ma era vero amore? C’é chi giura di sì.  Paolo Dossena, ex produttore dei due artisti, ricorda che alla vigilia del tragico epilogo, Tenco e Dalida annunciarono al loro entourage che si sarebbero sposati a Festival concluso, sicuramente prima dell’estate del ’67.

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In realtà l’esistenza di Tenco è turbata da qualcosa. Se ne accorgono casualmente, poco prima del festival, Paolo Dossena e un altro funzionario della sua casa discografica ai quali il cantautore genovese aveva chiesto di portare la sua auto, una ‘Giulia’ verde, da Roma a Sanremo. Secondo la versione comunemente accreditata, durante un posto di blocco sull’Aurelia, all’altezza di Grosseto, Paolo Dossena, alla guida della Giulia di Tenco, nel cercare il libretto di circolazione da esibire ai carabinieri, vede, custodita nel cruscotto, una pistola Walther Ppk 7.65.

«Arrabbiato chiesi a Tenco perché tenesse una rivoltella in macchina», ribadisce ancora oggi Paolo Dossena. «Lui confidò che già in tre occasioni avevano cercato di ucciderlo. Ricordo ancora la sua espressione: Lo capite ragazzi, io ho paura, paura!»

Ma di chi aveva paura Luigi Tenco e chi aveva interesse a eliminarlo? A queste domande – che i suoi discografici gli rivolsero più volte – il cantautore non ha mai voluto rispondere. Dopo la sua morte si è scritto molto sulle sue idee politiche e sui rischi che potenzialmente potevano essere correlati al suo impegno. Militante del partito Socialista italiano, Luigi Tenco, come tanti intellettuali di sinistra di orientamento marxista, tra i quali Pasolini, era finito nella lista nera del SIFAR, il temuto servizio segreto di informazioni collegato alla CIA che schedava elementi ritenuti pericolosi per la loro “attività contestatrice e rivoluzionaria“. Tenco, dunque, era nel mirino dei servizi segreti. Era questa la causa del suo tormento? Non lo sapremo mai.

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Ma torniamo al Festival, la roulette che non perdona. I giorni della vigilia scorrono tra i soliti rituali: le prove (nel video che segue quella di Dalida), le interviste, gli incontri con i fans e gli immancabili autografi.



Tenco è conosciuto, ma non quanto Dalida. E’ lei la stella. A Sanremo non mancano neppure i contrasti tra il cantautore e alcuni giornalisti più attenti ai risvolti sentimentali della love-story, che ai contenuti della collaborazione artistica. La canzone sacrificata sull’altare del gossip. Per Tenco è un duro colpo.

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L’ULTIMA, TRAGICA NOTTE

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Si arriva con una tensione quasi palpabile al 26 gennaio, il momento della verità, il debutto nella manifestazione che allora più di oggi poteva spalancare le porte del successo o stroncare una carriera. Nell’attesa che arrivi il suo turno Luigi Tenco, letteralmente atterrito, trangugia, secondo ricostruzioni e testimonianze attendibili, una bottiglia di grappa e alcune pillole di ‘Pronox, un tranquillante che aveva già assunto altre volte per vincere la prova del palco. Forse sente l’ansia della prestazione, è spaventato dalla bolgia-tritacarne del festival, oppure è turbato da qualcos’altro. Dalida ha già cantato intorno alle 22, mentre l’esibizione del cantautore è programmata in coda ai colleghi, dopo la mezzanotte.

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The French Italian-born singer Dalida performing ‘Ciao amore ciao’ by Luigi Tenco. Sanremo, January 1967 (Photo by Mondadori via Getty Images)

Mike Bongiorno, presentatore del Festival, deve quasi sospingerlo sul palco. L’esibizione di Ciao amore, ciaorisulterà sconcertante. Tenco appare stravolto, in preda ad uno choc emotivo. La voce impastata, gli occhi stralunati. Lo confermano i testimoni, se ne accorge il pubblico in sala, ma non i telespettatori. Quando infatti Tenco sale sul palco, ultimo in scaletta e trentesimo in gara, il secondo canale Rai ha già staccato da più di un’ora la diretta tv.

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A quelle impressioni generali e alla sterminata bibliografia dobbiamo attenerci, anche perché di quell’esibizione – altro fatto incredibile – non esistono filmati, scomparsi dagli archivi Rai. Di un ‘suicida’, nell’Italia bigotta e benpensante dell’epoca, forse, non doveva rimanere traccia. Tra i documenti sopravvissuti questo audio live tratto dalla registrazione radiofonica:



La prova di Tenco lascia le giurie interdette e nemmeno l’interpretazione (eccessivamente melodrammatica) di Dalida riesce a convincere.

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Il verdetto è molto severo: ‘Ciao amore, ciao’ viene prima eliminata dalla falce della giuria popolare e poi definitivamente esclusa dalla commissione di qualità deputata ai ripescaggi. Tenco, nel frattempo, è ignaro di tutto ciò che accade: dietro le quinte smaltisce la sbornia dormendo.

Il giornalista Piero Vivarelli, in un’intervista rilasciata all’Unità il 10 febbraio 1994, ricorda un particolare importante:

«Nessuno tra i dirigenti della Rca presenti aveva il coraggio di dire a Luigi come erano andate le cose. Lui stava dormendo su un tavolo posto nel saloncino antistante i camerini del Salone delle Feste. Lo svegliai e gli dissi quello che era accaduto. Lui non la prese molto bene, tant’è vero che quando uscimmo dal palazzo del Casinò mandò sgarbatamente al diavolo due ragazzine che gli chiedevano l’autografo».

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Dopo le esibizioni, i funzionari della casa discografica Rca, lo staff degli artisti e Dalida si dirigono in un ristorante della Città dei Fiori, ‘U Nostromu’. Avvertito dell’appuntamento, Tenco si mette al volante della sua Giulia GT verde, sulla quale ha caricato il direttore artistico della RCA, Ettore Zeppegno, e la moglie di questi Adriana. La forsennata corsa in auto si conclude in una piazzetta affacciata sul porticciolo turistico a pochi metri dal ristorante. Tutti si apprestano ad entrare, Luigi Tenco no. Rifiuta di unirsi alla compagnìa e riparte con una furente sgommata…riparte incontro alla morte. E’ trascorsa poco più di mezz’ora dalla mezzanotte. E’ già venerdì 27 gennaio. Paolo Dossena ricorda che Luigi «ripartì sgommando, sfiorò un’altra macchina e rischiò l’incidente». Dalida e gli amici della comitiva, a tragedia avvenuta, saranno perseguitati dai sensi di colpa per averlo lasciato solo con la sua disperazione.

Cronaca & Misteri

A questo punto non ci sono certezze sulla destinazione di Luigi Tenco. Torna effettivamente in albergo (come testimonieranno i portieri di turno alla reception) per poi uscire di nuovo senza essere visto? (La sua stanza, come vedremo più avanti, era vicino a un’uscita secondaria). Rimane fuori? Gira ancora per Sanremo? Incontra qualcuno? Sui suoi pantaloni verranno trovati stranamente residui di sabbia. E’ stato in spiaggia?

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Sicuramente, dopo aver lasciato Dalida e la compagnìa al ristorante, Luigi Tenco telefona a Valeria, il suo amore segreto. Ma da dove telefona? La chiamata, secondo alcune ricostruzioni, non parte dall’hotel Savoy. Non risulterebbero, infatti, telefonate in uscita dalla camera 219. Più certezze si hanno invece sui contenuti di quella telefonata. E’ una conversazione drammatica. L’artista, deluso e arrabbiato, dice alla donna di essere pronto a denunciare un giro di scommesse clandestine al festival, roba scottante. La stessa Valeria confiderà che Luigi aveva intenzione di indire per l’indomani una conferenza stampa per denunciare gli organizzatori di quell’attività illegale. Quella a Valeria é, presumibilmente, l’ultima telefonata della sua vita. Il suicidio – o l’omicidio – di Luigi Tenco si consuma nei minuti immediatamente successivi.

Luigi Tenco, 50 anni fa la morte che rimane un mistero

Mentre la tragedia sta per compiersi, un uomo (la cui identità non è mai stata pienamente accertata) telefona al locale ‘U Nostromu’ e chiede di Dalida che sta terminando di cenare col suo staff. A confermarlo è un produttore della Rca, il regista televisivo Cesare Gigli: ricorda la cantante in piedi, al telefono del ristorante, che lascia cadere la cornetta per poi precipitarsi al tavolo gridando disperata: «Torniamo in albergo, Luigi non sta bene!». Ma attenzione, anche su questo episodio le testimonianze non sono assolutamente univoche. I ricordi si sovrappongono, le incongruenze sono evidenti. (Ad esempio, secondo Gianfranco Reverberi, non fu Dalida a parlare al telefono del ristorante, ma l’impresario Altieri, il manager dei Rokes che poi comunicò ai presenti: «E’ successo qualcosa a Tenco!»). Oggi sappiamo che al ristorante arrivò sicuramente una chiamata partita – probabilmente – dall’Hotel Londra. Una voce maschile comunicò allo staff che Tenco era stato colto da malore. La notizia, considerando lo stato di palese alterazione del cantante, ammantò di oscuri presagi il fine-cena di Dalida, che infatti – secondo la ricostruzione ricorrente – lasciò immediatamente il ristorante per raggiungere l’hotel Savoy.

I PRIMI BUCHI NERI DEL CASO TENCO

Chi fu il primo ad accorgersi che a Luigi Tenco era accaduto qualcosa di grave? Chi lanciò l’allarme? Chi telefonò dall’hotel Londra al ristorante? E perché proprio dall’hotel Londra? Quando Dalida entrò nella stanza 219, il cantante giaceva da solo, senza l’ombra di un medico. Se qualcuno si era accorto del ‘malore’ (o ancor peggio della morte) di Tenco perché non chiamò subito i soccorsi o la polizia, e pensò invece ad avvisare soltanto l’entourage del cantante? Sono i misteri, mai dissolti, del giallo.

Il giornalista Renzo Parodi, autore di ‘Luigi Tenco’ (edizioni Sperling & Kupfer), il libro più vero e rigoroso mai scritto sul cantautore ipotizza che qualcuno abbia effettivamente telefonato al ristorante, ma subito dopo (e non prima!) la scoperta del cadavere di Luigi Tenco da parte di Dalida. Effettivamente potrebbe essere proprio questa la versione più logica. Dalida, preoccupata per il disagio di Luigi, avrebbe lasciato anzitempo la compagnìa del ristorante per recarsi in albergo accompagnata da tre/quattro collaboratori. Solo a quel punto, a tragedia ormai conclamata, sarebbe partita la telefonata per allertare il resto della comitiva rimasto a tavola.

Scrive Parodi: 

«Ma allora chi chiamò il ristorante per avvertire che Tenco stava male? L’allarme verosimilmente venne dato da qualcuno della RCA che aveva accompagnato Dalida al Savoy e fu ricevuto da quanti si erano attardati al Nostromu».

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Dunque Dalida, con un ristretto numero di collaboratori, si precipita in albergo. Dopo essersi congedata dai suoi accompagnatori si dirige verso la stanza del partner. Secondo la ricostruzione più veritiera, la porta della camera 219 non è chiusa a chiave (la chiave è infilata nella toppa esterna). Dalida è sola davanti a quella porta: dopo aver bussato, terrorizzata dal presentimento più fosco, decide di entrare esercitando una rapida pressione sulla maniglia. La scena che si disvela ai suoi occhi è devastante. Luigi è accasciato, senza vita, ai piedi del letto. Sono (minuto più, minuto meno) le 2 e 30. Dalida urla sconvolta richiamando l’attenzione generale degli ospiti, tra i quali Lucio Dalla che alloggia nella stanza attigua, la 217. In tanti pensano che Tenco si sia sentito male, nessuno ancora immagina che il cantautore sia morto per un colpo di arma da fuoco. Da quel momento le ricostruzioni e le testimonianze sulla maledetta notte del Savoy si fanno ancora più confuse. C’è chi non ha visto, ma parla a vanvera o “per sentito dire”, c’è chi forse ha sentito o visto qualcosa, ma si chiude in un silenzio ostinato e c’è anche chi dichiara per poi smentire. Lacune che favoriranno ogni genere di illazione e apriranno la strada a ricostruzioni totalmente fantasiose e lontane dalla realtà. (Negli anni si è scritto davvero di tutto. Si è ipotizzato persino che Luigi Tenco sia stato ucciso da un colpo di pistola esploso durante una colluttazione con Dalida…).

Di seguito il racconto di Piero Vivarelli, uno dei testimoni oculari di quella notte:

«Sulla porta dell’hotel ci venne incontro in lacrime il maestro Cini dicendoci che Luigi si era suicidato. Nella hall la confusione era al massimo. Lucio Dalla, seminudo, singhiozzava sopra un divano. La camera di Tenco era nel seminterrato, una di quelle camere riservate alla servitù, ma che vengono affittate nelle grandi occasioni. Mentre cercavo di avere altre notizie, Sergio Modugno si precipitò giù. Aveva in mano il famoso biglietto d’addio, l’aveva visto sul cassettone e se l’era messo in tasca. Purtroppo decidemmo di consegnarlo al commissario Molinari che si impegnò di farlo vedere solo al magistrato. Dopo mezz’ora l’Ansa ne diffondeva il contenuto integrale».


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La scena del ‘suicidio’ è inquinata dal via vai concitato di amici, curiosi, giornalisti, personale dell’albergo e poliziotti. Tutti toccano tutto. La camera 219 diventa un porto di mare. Nel trambusto, come vedremo, emergeranno dichiarazioni contrastanti perfino sulla posizione del cadavere, sulla presenza, o meno, della pistola e del biglietto d’addio. Un caos infernale che fa a pugni con qualsiasi modello di efficienza investigativa.

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Secondo i primi rapporti della Polizia il colpo che uccise Luigi Tenco fu esploso tra l’1,30 e le 2 di notte, eppure – altro mistero mai chiarito – non ci fu un solo vicino di camera che sentì il boato dello sparo. Nessuno. Ecco perché, nel corso degli anni, a più riprese, è affiorata l’ipotesi che Tenco sia stato ucciso altrove e poi spostato nella stanza del Savoy, o addirittura che l’arma fosse dotata di silenziatore, un dispositivo che però, nel caso della ‘Walther Ppk‘ di Tenco, non poteva essere installato per incompatibilità tecniche. I già citati Paolo Dossena e Cesare Gigli, le cui testimonianze costituiscono la pietra angolare della tesi dell’omicidio, furono tra i primi testimoni oculari ad entrare nella trafficatissima stanza 219. Ricordano che Luigi Tenco «era seduto a terra, con le spalle erette poggiate sulla sponda del letto. Non c’era la pistola e non c’era il biglietto».

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Effettivamente, nel verbale della Polizia, redatto alle ore 3 del 27 gennaio, tra gli oggetti sequestrati e repertati non figurano né la rivoltella, né il messaggio di addio (secondo la versione più accreditata Sergio Modugno prese il biglietto e solo in un secondo momento lo consegnò alla Polizia). Vastissimo, del resto, il capitolo delle inadempienze. Le indagini sulla morte di Luigi Tenco sembrano tratte dal “manuale del pessimo investigatore”. Malgrado l’evidenza di una morte così improvvisa e violenta non si dispone l’autopsia, non si rilevano le impronte digitali sull’arma, non si esegue il guanto di paraffina sulla mano del cantautore e non si cerca neppure il proiettile perché si stabilisce a priori che è rimasto nel cranio. La morte di Luigi Tenco, insomma, è un fagotto ingombrante, una tragedia da rimuovere al più presto. Meno se ne parla, meglio è. Dirigenza della Rai, Polizia e chissà chi altro convergono verso un unico obiettivo: archiviare frettolosamente la morte dell’artista come suicidio e continuare il festival come se nulla fosse accaduto. Ma la stampa fa il suo dovere. I giornalisti più capaci e sensibili, nell’interpretare lo sgomento dell’opinione pubblica non si accontentano delle verità di comodo, dei comunicati-stampa e delle “conclusioni” prefabbricate. Critiche e perplessità sull’operato della Polizia si addensano soprattutto sul principale titolare delle indagini, il commissario capo di Sanremo Arrigo Molinari, carattere vulcanico e personalità eccentrica.

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Qualche anno più tardi emergerà la sua appartenenza alla Loggia Massonica P2 di Licio Gelli con tessera numero 767. E’ peraltro accertata anche la sua adesione a Gladio-Stay behind, l’organizzazione paramilitare clandestina sostenuta da Nato, Cia e servizi segreti italiani per contrastare eventuali invasioni dell’Europa occidentale da parte dell’Unione Sovietica e dei paesi comunisti del Patto di Varsavia. Lo stesso Molinari, in diverse occasioni pubbliche, rivendicherà con orgoglio l’appartenenza a Gladio. (Personalmente ebbi modo di intervistarlo, anni fa, all’esterno della Questura di Genova dov’era stata organizzata una manifestazione di reduci. Molinari era tra gli animatori più vivaci. Lo ricordo molto bene mentre, attorniato da altri ex gladiatori, esaltava il ruolo dell’organizzazione segreta nel contrasto al “pericolo comunista”). Alla luce di questi elementi suona allarmante, anche relativamente al caso Tenco, il patto segreto che univa affiliati del SIFAR, della Loggia P2 e di Gladio: “aiutiamoci, tutti abbiamo un nemico da eliminare e se si uniscono le forze, gli aiuti per ogni campo di specifica competenza, con l’apporto di simulazioni, sceneggiate, depistaggi, indagini ben manovrate, influenze mediatiche, persone violente ecc., possiamo arrivare allo scopo, mettere a tacere una persona scomoda……”. Dunque, Arrigo Molinari, titolare delle indagini sulla morte di Luigi Tenco, era un massone-gladiatore. Non possiamo fare altro che considerare questa informazione come spunto di riflessione.

QUEL MACABRO BALLETTO

Arriviamo alle 3.30 del mattino. In pieno caos e con la scena del crimine irrimediabilmente alterata, il cadavere di Luigi Tenco viene rimosso e trasferito alla chetichella nella camera mortuaria del vicino cimitero di Valle Armea. Nessuno, tra i presenti, si accorge di quella frettolosa rimozione anche perché la stanza 219 è proprio adiacente ad un’uscita secondaria. Attenzione, questo è un dettaglio assolutamente importante che suggerisce, fatalmente, altri scenari inquietanti. Se al Savoy si poteva entrare ed uscire di nascosto, non si può escludere un’ipotesi agghiacciante, ma plausibile: qualcuno, dopo aver ucciso Luigi Tenco all’esterno, avrebbe potuto trasportare il suo cadavere nella stanza 219 senza essere visto (foto sotto).

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Per Tenco non c’è pace. Alle 4 del mattino l’indagine tocca il punto più infimo e assume i connotati di un macabro balletto. L’ineffabile commissario Molinari ordina incredibilmente di riportare all’Hotel Savoy il corpo del povero Tenco per consentire ai paparazzi di fotografare il cadavere e alla Scientifica di ultimare gli accertamenti. Uno scempio. Come in un set cinematografico si ricrea la scena con modalità assolutamente maldestre. La salma, sballottata e trattata come un manichino, viene adagiata per terra in una posizione – sostengono decine di testimoni – assolutamente diversa rispetto al ‘quadro’ originario. Si scattano le fotografie ed è in queste immagini che spunta per la prima volta una pistola. Una pistola finita assurdamente sotto le sue gambe che, come vedremo, non sembra quella di Tenco.

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«Le fotografie ufficiali, scattate dopo il trasferimento di Tenco dal cimitero all’hotel, non corrispondono a quello che avevo visto appena entrato nella camera», ha spiegato più volte il discografico Paolo Dossena. «Nella messinscena venne creato un falso».

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Le fotografie pubblicate a corredo dell’inchiesta mostrano il cadavere di Tenco disteso ai piedi del letto, la pistola seminascosta tra le gambe dell’artista (in una posizione altamente in contrasto con la dinamica dello sparo alla tempia), i piedi infilati sotto il cassettone di un mobile. Una postura assolutamente diversa rispetto a quella ‘registrata’ dai primi testimoni oculari.

CRONACA NERA AL FESTIVAL

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dal SECOLO XIX del 28 gennaio 1967

L’AMARO ADDIO DI LUIGI TENCO: “IL PUBBLICO NON MI HA CAPITO”

articolo di Giancarlo Del Re

Dalida presagiva una disgrazia: fu la prima a scoprire il cadavere

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Sanremo, 27 gennaio

Gli uomini delle pulizie cominciavano a vuotare i posaceneri e a spiumacciare i cuscini dei divani, da un finestrone usciva una nuvola di fumo trasparente. Erano le sette, e ancora c’era gente in piedi, nei saloni dell’Hotel Savoy, gente che continuava a parlare e fumare, facce stanche e pallide, voci sommesse, arrochite dal sonno e qualcuna dal pianto. Il dottor Molinari, commissario di Sanremo, aveva completato gli accertamenti e neppure lui riusciva ad andarsene. Uno degli agenti che gli stavano alle spalle, teneva in mano il pacco contenente la pistola Walther calibro 7,65; una scatola verde avvolta alla meglio in un pezzo di giornale. Tenco se l’era portata da Roma.

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Ora che la tragedia di questo povero ragazzo è stata ricostruita momento per momento dalla polizia, la prima cronaca del fatto, la notizia immediata raccolta nel cuore della notte e subito trasmessa ai giornali presenta qualche imprecisione. Nessuno udì la detonazione, ieri notte, ma Tenco fu trovato morto da Dalida, verso le due e mezzo. Se Dalida non avesse avuto come un nero presentimento e non avesse voluto vedere il suo sventurato amico, prima di andarsene a letto, il cadavere non sarebbe stato trovato prima di mezzogiorno, quando le cameriere vanno a riassestare le camere. Procediamo ora con ordine, sulla base delle testimonianze dirette.

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Cominciamo da mezzanotte, quando appreso il verdetto delle giurie, pubblico e cantanti, lasciarono il Palazzo del Casinò per tornare agli alberghi o andare a cena in comitiva, com’è d’uso dopo lo spettacolo. Tenco era sconvolto, lo vedevano tutti. Pallido, tirato, assente, si lasciava trascinare dalla calca e non parlava, non rispondeva agli amici, non diceva niente. Dalida, suo marito, i funzionari della casa discografica volevano calmarlo, fargli coraggio, ma ogni tentativo era inutile. “Vedrai, la canzone andrà bene lo stesso”, gli dicevano,”a Sanremo va sempre così; le canzoni escluse sono quelle che fanno più strada”. La comitiva era diretta al ristorante “Il Nostromo” che è vicino al porticciolo, oltre la strada ferrata, e Tenco scuoteva il capo, non voleva unirsi agli altri, voleva restar solo. Presero le automobili e si mossero. “Vi accompagno ma torno in albergo, proprio non me la sento, scusatemi”. Si mise al volante di una delle macchine dove avevano preso posto il direttore artistico della Rca, Zeppegno, e la moglie. “Andava come un matto”, riferiranno più tardi i coniugi Zeppegno, “tanto che dovemmo dirgli di rallentare”. Andarono prima al Savoy e qui il giovane scese, dette la buonanotte ai suoi amici e voltò loro le spalle (come noto, é stato accertato in seguito che Tenco salutò la comitiva davanti al ristorante per poi tornare da solo in hotel n.d.r.). Mezz’ora dopo, dal ristorante Dalida volle telefonare in albergo (come abbiamo già scritto, secondo altre testimonianze Dalida non telefonò, ma fu chiamata al telefono del ristorante n.d.r.) per sapere se il suo amico fosse ancora lì o fosse uscito; il portiere le rispose che il signor Tenco aveva preso la chiave e si era ritirato senza lasciare detto a che ora avrebbe voluto essere svegliato. La comitiva rientrò alle due e un quarto, e Dalida ancora pensava a Tenco, era preoccupata e, diceva, aveva un presentimento.

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Alle 2.30, dopo essere passata un momento in camera sua, la cantante imboccò la scala che conduceva a quel settore dell’albergo dov’era alloggiato Tenco. Dalida arrivata davanti alla porta del compagno vide che la chiave era nella serratura, cioè all’esterno. Bussò alla porta, una, due volte. Chiamò, sempre da fuori, senza ricevere risposta. Allora entrò e trovò la luce accesa. Sotto il lampadario, ai piedi dei letti, era il giovane morto. Giaceva supino, aveva il capo reclinato sulla spalla destra, i lunghi capelli inzuppati di sangue. Aveva gli occhi aperti, la camicia aperta sulla canottiera, le mani rattrappite all’altezza della cintola. Un urlo. Dalida non capisce quello che è successo e urla, urla, poi corre al telefono e chiama il portiere : “Presto un medico dal signor Tenco che sta male!”.

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Arriva Lucio Dalla che risiede nella camera accanto. S’è svegliato di soprassalto, la luce ancora lo acceca. Strappa Dalida dal corpo dello sventurato, la trascina fuori, mentre sta arrivando il dottor Borelli, medico dell’albergo. Arrivano altri, tra i quali il paroliere Pallesi. C’è il sangue e c’è altro sul tappetino, e ancora non ci si rende conto dell’accaduto perchè nessuno vede ancora la pistola che è finita tra le gambe dello sventurato. “Prendete quel biglietto”, balbetta Dalida mentre la portano su; “Attenti c’è un biglietto”. E’ la lettera d’addio del suicida, la sua protesta contro il mondo; sono quattro, cinque righe scritte con la biro, con una calligrafia veloce ma chiara: “Ho speso gli ultimi cinque anni della mia vita per il pubblico italiano, il quale mi ripaga preferendo alla mia canzone “Io, tu e le rose” e “La rivoluzione”.

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ERRORI, DUBBI E SOSPETTI

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IL GIALLO DELLE DUE PISTOLE

Da LIGURIA CRIMINALE di Emanuela Profumo

Tenco è morto per un colpo di una calibro 22. Ma la pistola è, per alcuni, ancora nella sua mano, la sinistra, malgrado il cantante non fosse mancino, mentre per altri è addirittura lontana dal corpo. Ma viene ritrovata anche un’altra arma, una Walter PpK. Non si trova traccia di alcun proiettile nella stanza…

«Quando il 27 gennaio 1967 la Polizia entra nella stanza 219 dell’Hotel Savoy, non trova l’arma di Luigi Tenco», rilancia il criminologo Pasquale Ragone. «Invece, nel verbale delle 4.15, la Polizia inserisce sotto il corpo di Tenco un’altra arma, un’altra pistola che non corrisponde affatto alla Walther Ppk 7.65 del cantante».

Secondo i nuovi accertamenti, eseguiti su quelle foto, la rivoltella che si vede tra le gambe di Luigi Tenco, posizionata sotto il cavallo dei suoi pantaloni, risulta avere il grilletto chiuso, diversa dunque dalla sua Walther Ppk che notoriamente ha il grilletto aperto. Ma non è tutto. E’ stata eseguita una comparazione tra il bossolo ritrovato allora nella stanza 219 e quello scaricato dalla stessa pistola di Tenco: le due impronte di espulsione appaiono, anche in questo caso, differenti. Secondo Ragone:

«Il bossolo trovato nella stanza di Luigi Tenco appartiene ad una cartuccia non esplosa dalla sua pistola, bensì da un’altra arma, verosimilmente una Beretta Modello 70. La tesi da noi sostenuta è che in realtà la Walther Ppk di Tenco non ha mai sparato in quella stanza ed è sempre rimasta all’interno del cruscotto della sua auto».

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Orietta Berti, interprete di Io, tu e le rose, canzone passata alla storia per essere uno dei due brani di quel maledetto Festival del ’67 contro i quali si è scagliata la protesta di Tenco nel suo presunto biglietto di suicidio, ha rievocato quei terribili momenti nella puntata di Chi l’ha vistotrasmessa il 18 febbraio 2015:

«I primi che entrarono nella camera dell’artista (secondo la maggior parte delle ricostruzioni, la prima in assoluto fu Dalida – n.d.r.) giurarono che la porta non era chiusa, come se qualcuno, fuggendo, l’avesse lasciata semi aperta».

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Orietta Berti al Festival di Sanremo in una foto d’archivio datata 26 gennaio 1967 ANSA/ OLDPIX

Tenco si è ucciso nella sua stanza senza chiudere la porta? Ospite a ‘Domenica In’ il 29 febbraio 2004, il commissario Arrigo Molinari rilascia dichiarazioni clamorose. Ipotizza che dietro la morte di Luigi Tenco ci sia stato un giro di scommesse clandestine legato al Festival, confermando così lo scandalo che lo stesso artista voleva denunciare prima di morire. Aggiunge che dopo la morte di Tenco, il giornalista Ugo Zatterin, allora Presidente della commissione di ripescaggio, avrebbe insistito affinché il Festival proseguisse: «Queste pressioni», spiegò Molinari (foto sotto) «mi costrinsero a riportare la salma di Tenco dall’obitorio all’hotel, per mostrarlo a tutti e far capire che il Festival non poteva riprendere. Ma tutto fu inutile». Poi la dichiarazione più sorprendente:

«Indubbiamente un suicidio non lo è stato e posso garantirlo con una certa sicurezza. Però posso dire che è stato un omicidio collettivo. A un certo punto non mi hanno più permesso di fare indagini»

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Che cosa voleva dire Arrigo Molinari con quelle affermazioni ambigue? Ormai non può più chiarire. La sua vita è finita tragicamente il 27 settembre 2005: ucciso a coltellate nella stanza di un hotel di Andora durante un maldestro e per molti aspetti misterioso tentativo di rapina ordito da un ladro solitario (foto sotto). Tenco e Molinari: morti violente in alberghi della riviera ligure. Le ricorrenti coincidenze di questa storia annichiliscono.

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Con la scomparsa di Arrigo Molinari molti segreti rimarranno tali per sempre. Perché, ad esempio, non venne mai interrogato Lucien Morisse, l’ex marito di Dalida presente a Sanremo in quelle funeste giornate? Perchè la Polizia consentì all’uomo di tornare frettolosamente in Francia? A nessuno venne in mente di considerare la pista di una vendetta passionale?

Lucien Morisse con Dalida

Ricordiamo che anche Lucien Morisse, legato – si sospetta da più parti – alla mala marsigliese, finì i suoi giorni sicuramente suicida: si uccise nel 1970, a 41 anni. Non riusciva più a sopportare l’abbandono di Dalida, e anche lui, come il rivale d’amore Tenco (se si accettano le ricostruzioni ufficiali), si sparò con una Walther Ppk 7,65. Lucien Morisse era sicuramente geloso della relazione amorosa tra l’ex moglie e il cantante italiano, ma oltre al possibile movente passionale è rimasta inesplorata un’altra pista investigativa che articoliamo in questi tre passaggi: Morisse era vicino alla malavita marsigliese; la malavita marsigliese gestiva le scommesse clandestine sul Festival di Sanremo; Tenco – come noto – voleva denunciare il giro di scommesse clandestine.

Un’altra ipotesi resta sullo sfondo: in molti sostengono che Luigi Tenco avesse vinto una discreta somma al Casinò di Sanremo, circa sei milioni delle vecchie lire, ma nella stanza viene trovato solo un assegno di entità modesta e comunque proveniente da un collaboratore, nulla a che vedere quindi con la somma vinta al Casinò. Può essere questo il movente di un eventuale omicidio?

Suggestioni azzardate o scenari credibili? Il dubbio rimarrà per sempre.

2006, SI RIAPRONO LE INDAGINI

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Agli sgoccioli del 2005, dopo 40 anni di inchieste giornalistiche e rivelazioni, la Procura di Sanremo decide finalmente di riaprire l’inchiesta sulla morte di Luigi Tenco, archiviata nel 1967 come suicidio. Il 15 febbraio 2006, nel cimitero di Ricaldone, la salma del cantautore viene riesumata e sottoposta per la prima volta ad autopsia.

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Non mancano le sorprese: il corpo di Luigi Tenco, dopo 40 anni, è rimasto intatto. «Sembrava morto da sei mesi», confidano gli avvocati e i periti ai giornalisti. La zona freddissima, l’assenza di umidità, l’esposizione ai venti e la cassa sollevata da terra, hanno preservato la salma dal processo di decomposizione.

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Gli esperti forensi, i ‘coroner’ e otto specialisti dell’ERT (Esperti Ricerca Tracce) della Polizia Scientifica della Direzione Centrale Anticrimine si mettono al lavoro. Innanzitutto cercano il proiettile che si pensava intrappolato nel cranio, ma non lo trovano. Un mistero, l’ennesimo, che rafforza la tesi dell’omicidio. Senza quella pallottola, infatti, è impossibile procedere con la perizia balistica e stabilire quale arma abbia effettivamente sparato.

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Un mese dopo è ancora Chi l’ha vistoa soccorrere gli inquirenti. I giornalisti del programma raccolgono la testimonianza di un sanremese il quale dichiara di aver acquistato nel 1968, ad un’asta pubblica del Tribunale di Sanremo, una scatola di proiettili, un bossolo esploso e i documenti di una Walther Ppk calibro 7.65 intestati a Luigi Tenco. Nella scatola c’è anche una confezione di tranquillanti ‘Pronox’, gli stessi ingeriti dal cantautore la maledetta sera di un anno prima. Si scopre, inoltre, che i reperti, nel corso degli anni, hanno cambiato proprietario altre due volte. L’ultimo è un socio del ‘Club Tencodi Sanremo. Per quale ragione bizzarra materiali così determinanti ai fini dell’indagine vennero messi all’asta a pochi mesi dalla tragedia? Nemmeno la fervida fantasia del più ispirato romanziere avrebbe potuto generare una vicenda così paradossale e sconvolgente. Fatto sta che dopo questi passaggi rocamboleschi, i reperti originari ed autentici, nel 2006, sono finalmente disponibili per nuove ed opportune verifiche.

LA TESI DEL SUICIDIO

Il giornalista Renzo Parodi evidenzia i risultati dell’inchiesta condotta nel 2006:

L’autopsia «accerta, sul lato sinistro del cranio, l’esistenza di un secondo foro classificabile, grazie alle caratteristiche, come foro d’uscita del colpo d’arma da fuoco…Si afferma la piena compatibilità tra mezzo utilizzato e modalità del suo impiego e la natura suicidaria della morte».

Altro capitolo il biglietto d’addio:

«Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sia stanco della vita (tutt’altro), ma come atto di protesta contro un pubblico che manda ‘Io, tu e le rose’ in finale e una commissione che seleziona ‘La rivoluzione’. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao, Luigi».

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La firma ‘Luigi’, sostengono nel 2006 i periti, «è stata vergata dalla stessa mano che ha redatto tutte le scritture di comparazione fornite come autografe di Luigi Tenco». In parole povere, secondo questa perizia, Tenco ha scritto davvero il biglietto d’addio. Ma proprio la sua firma, come vedremo nel prossimo capitolo, risulterà tra gli elementi più contestati e controversi.

Terzo aspetto, le indagini balistiche: Anzitutto i test comparativi condotti sul bossolo agli atti e sul bossolo esploso di fresco dall’arma sequestrata (la Walther Ppk 7.65) «hanno permesso di stabilire che entrambi sono stati esplosi dalla stessa arma».

Conclusioni: «il grado di certezza della natura suicidaria del decesso rimane lo stesso di allora, e cioè molto elevato, ma non assoluto». Nel 2009 il caso Tenco viene quindi archiviato e classificato, per la seconda volta, come suicidio.

LA TESI DELL’OMICIDIO

Perché, dopo le minuziose analisi del 2006 che comportarono il supplizio di una riesumazione e di un’autopsia, sono state richieste nuove indagini? Su quali dubbi o lacune fa perno la dettagliata contro-inchiesta? Vediamo nel dettaglio: i promotori della riapertura del caso sottolineano che la prova dello ‘Stub’, effettuata nel 2006 per rilevare tracce di polvere da sparo sulle mani di Luigi Tenco, ha stabilito che non c’è certezza assoluta che proprio la mano destra di Tenco abbia impugnato la pistola ed esploso il colpo mortale (ricordiamo che Tenco è morto per un colpo di arma da fuoco esploso contro la tempia destra e quindi avrebbe dovuto – per logica – impugnare la pistola con la mano destra).

«Quelle mani non hanno sparato» spiega il giornalista Aldo Fegatelli Colonna. «Quando una mano spara deve riportare particelle di bario antimonio e piombo, ma sulle mani di Tenco c’era una sola particella di antimonio. La particella di antimonio, peraltro, è molto comune; ad esempio si trova nelle mani di qualsiasi fumatore e Tenco fumava».

Altro dubbio: l’autopsia effettuata nel 2006 da Luca Tajana, specialista in Medicina Legale dell’Università di Pavia e perito d’ufficio nominato dalla Procura di Sanremo, ha evidenziato una frattura all’altezza della mastoide destra di Tenco. Secondo i fautori dell’omicidio potrebbe trattarsi di una frattura NON legata alle conseguenze dello sparo o di una caduta, ma procurata da un oggetto contundente utilizzato per aggredire alle spalle e tramortire il cantautore. Gli interrogativi, in questa brutta storia, tornano sempre: perchè Luigi Tenco sarebbe stato ucciso? Chi aveva interesse ad eliminarlo?

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Riassumendo. Secondo la contro-inchiesta, respinta dalla Procura di Imperia, la pistola di Luigi Tenco non sparò alcun colpo né fu mai ritrovata sulla scena dell’evento (l’ipotesi è che a sparare potrebbe essere stata un’altra arma – mai ritrovata – dotata di silenziatore). Inoltre nessuno, in albergo, sentì la deflagrazione dello sparo. Eppure di notte, in un ambiente chiuso, è impossibile non udire il rumore di uno sparo; un colpo di pistola calibro 7,65 doveva essere percepito fino a qualche centinaio di metri. Poi, come abbiamo già evidenziato, la prova del guanto di paraffina effettuata sulle mani del cantautore è risultata negativa, quindi il fatto che sia stato Tenco a premere il grilletto non è tecnicamente credibile. Altro punto: la pistola di Tenco, riconsegnata al fratello nel 1988, era pulita e oleata. Non a caso, nelle foto scattate il 27 gennaio 1967 si nota che sotto i glutei di Tenco non c’è la sua Ppk 7.65, ma un’altra pistola che si è ‘materializzata’ nella tardiva messinscena della Polizia ad uso e consumo dei fotografi. Non solo: alcune foto mostrano ferite lacero-contuse sul volto di Tenco, come se fosse stato picchiato, ma questi segni non sono riportati sui referti ufficiali. Pesanti dubbi anche sul rabbioso biglietto di addio:

«Non ho mai creduto che Luigi Tenco avesse scritto quel biglietto. Proprio non l’ho mai creduto», sottolinea ancora oggi Orietta Berti. «Un suo carissimo amico, Sandro Ciotti, il giorno dopo la tragedia mi disse: Orietta, Luigi non avrebbe mai scritto un biglietto simile. Quel biglietto è un’offesa alla sua intelligenza, al suo modo di essere. Per me – conclude Orietta Berti – il biglietto non lo ha scritto Tenco. E’ stata una cosa molto più grande. E’ stato un omicidio. L’ho sempre detto fin dall’inizio, ma non mi hanno mai creduto. Anzi, quando lo dicevo mi tagliavano l’intervista».

Secondo la traballante perizia ufficiale, come abbiamo visto, il biglietto d’addio è stato scritto da Luigi Tenco. Eppure sussistono molti elementi per affermare il contrario. Ad esempio, balza agli occhi la profonda differenza della firma sul foglio con quella originale di Luigi Tenco, due calligrafie del tutto diverse e incompatibili. Le differenze (foto sotto) sono evidenti:

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La lettera contiene, inoltre, un errore ortografico che una persona preparata come Tenco non avrebbe mai fatto, ovvero, sul foglio si legge “selleziona” al posto della forma corretta “seleziona”:

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La Procura di Imperia, senza aprire un nuovo fascicolo e senza disporre nuovi accertamenti, ha scritto definitivamente la parola fine sulla vicenda. La documentazione prodotta da Nicola Guarneri e Pasquale Ragone non ha determinato la riapertura del caso. Amaro e battagliero il commento che Pasquale Ragone ha affidato alla testata Sanremo news:

«Chi si cimenta nel complesso mondo della Giustizia sa perfettamente che sono proprio i morti ad avere necessità di giustizia, perché non possono più difendersi. Tenco, per esempio, non può più difendersi dinanzi all’accusa di essere un ‘suicida per canzonette’. Sarebbe bastato leggere i verbali di Polizia del ’67 per capire che l’arma, che secondo la Polizia avrebbe esploso il colpo mortale, non entrò mai nella stanza del cantautore; che sotto il cadavere venne inserita una pistola diversa proprio perché mancava la Ppk di Tenco; che il bossolo ha i segni dell’uso di una pistola mai detenuta dal cantautore e addirittura dotata di silenziatore. Un’archiviazione di certo non fermerà chi sa di avere fatto bene il proprio lavoro. Saranno richieste le motivazioni, sperando che non abbiano scritto ‘lasciatelo in pace’. Chi pensa che sia finita si sbaglia: il tempo è galantuomo, sempre. E lo sarà anche stavolta».

IL DOLORE DI DALIDA

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Nella vicenda legata alla scomparsa di Luigi Tenco, insomma, nessun dubbio verrà mai completamente dissolto. La stessa sorte toccata a Marylin Monroe o a Jim Morrison, figure inquiete entrate nella leggenda, continuamente perseguitate dal mistero della loro morte. Luigi Tenco, l’antidivo, appartiene a quella schiera. Una storia, la sua, disperata e terribile che travolgerà anche Dalida. La cantante, un mese dopo la tragedia di Sanremo, tenterà il suicidio ingerendo barbiturici nella stanza di un hotel parigino. Verrà salvata in extremis. Si riprenderà e proseguirà una carriera sempre più trionfale, ma cercherà di uccidersi nuovamente nel 1977, per quel “male di vivere” che continuerà ad opprimerla malgrado il successo: in 25 anni di carriera, un disco di diamante per 86 milioni di dischi venduti in tutto il mondo e 38 dischi d’oro in sette lingue. Gioie artistiche e professionali che si intrecciano con eventi tragici: il suicidio di tre compagni, una vita privata segnata da drammi e delusioni…

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Dalida metterà in atto il suo proposito intimo ed estremo. Il 3 maggio 1987, a Montmartre, si ucciderà, a vent’anni dal primo tentativo e a dieci dal secondo. Lasciando, come il suo amato Luigi, un biglietto di poche righe: “La vita mi è insopportabile. Perdonatemi”

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Molti sostengono che il male di vivere di Dalida fosse nato proprio quella sera, quella in cui Tenco morì

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LUIGI TENCO NEL PANTHEON DEI GRANDI

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Oggi, aldilà delle implicazioni investigative e della definitiva archiviazione del caso, Luigi Tenco rimane un punto di riferimento per le nuove generazioni di artisti. Un omaggio pubblico al suo genio è risuonato due volte al Festival di Sanremo di Carlo Conti grazie alle cover di Gianluca Grignani, interprete intenso dell’immortale ‘Vedrai, vedrai‘, e di Bianca Atzei (foto sotto) che ha rievocato con bravura e temperamento la melodia e il testo struggente di ‘Ciao amore, ciao.

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Da non dimenticare Baccini canta Tenco, progetto discografico e lavoro teatrale firmato dal cantautore genovese. Francesco Baccini ha passato in rassegna non solo i brani più famosi e intimisti, ma anche quelli più impegnati, facendoci riscoprire l’aspetto più ironico e a volte satirico, spesso dimenticato, di Luigi Tenco. Un’operazione intelligente, di attenta ricerca, che ha acceso nuova luce sulla produzione tenchiana.

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Le canzoni di Luigi Tenco sono sempre state una grande fonte di ispirazione, che rispetto e custodisco con cura e timore”, spiega la cantautrice genovese Chiara Ragnini (foto sotto).

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E’ stato e resterà uno dei più grandi cantautori del nostro paese, uno dei pochi che ha sempre scritto e cantato con somma coerenza ed onestà intellettuale. La sua musica e, ancor più, i suoi testi rappresentano una preziosa eredità: il coraggio di unire la poetica all’attualità, di riuscire a trasformare in musica e parole un connubio fra musica popolare, quindi accessibile e di facile fruizione, a contenutistiche raffinate, ma taglienti. Tenco non scriveva tanto per scrivere: le sue canzoni nascevano da una forte esigenza comunicativa e questo, oggi, dovrebbe spingere noi cantautori a fare lo stesso, senza la smania di inseguire un effimero successo a tutti i costi.

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Oggi, più che mai, è fondamentale essere leali con se stessi per primi e, immediatamente dopo, con il pubblico che ti ascolta. In un’epoca dove vince l’omologazione e dove l’appiattimento artistico e culturale alimenta il music business, essere se stessi è la prima vera sfida vincente. Riuscirà ad emergere e a perdurare nel tempo colui che non avrà paura di mettersi in gioco. Proprio come Tenco”.

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Chiara Ragnini ha avuto il privilegio di suonare la chitarra appartenuta a Tenco.

“Si, ed è stata un’emozione indescrivibile. E’ accaduto grazie a Pepi Morgia, che nel 2011 mi coinvolse per partecipare alla kermesse ‘Restauro in Festival’ a Lingueglietta piccolo borgo medievale del ponente ligure che da sei anni è la mia casa. La serata, in quell’occasione, era dedicata proprio a Luigi Tenco e mi esibii insieme ad Andy (Bluvertigo, Fluon) e ad altri artisti, in un omaggio al cantautore. Di fronte a me, i suoi familiari. E’ stata una fra le esperienze più belle e gratificanti che la musica mi abbia regalato sino ad ora”.

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Luigi Tenco, imprendibile sognatore, ha trasmesso con le sue canzoni una lezione di grande realismo. Continua a dirci che il mondo non è rose e fiori, ma è fatto di cuori spezzati, drammi intimi, sentimenti controversi, lacerazioni, vite difficili e complicate. Vite come la sua. Esistenze ferocemente reali.

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Quando la sera / tu ritorni a casa / non ho neanche voglia di parlare / tu non guardarmi / con quella tenerezza / come fossi un bambino / che rimane deluso / Sì lo so / che questa / non è certo la vita / che hai sognato un giorno per noi / Vedrai vedrai / vedrai che cambierà / forse non sarà domani / ma un bel giorno cambierà / Vedrai vedrai / che non sei finito sai / non so dirti come e quando / ma vedrai che cambierà.

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FESTIVAL DI SANREMO 2021

Sul palco di Sanremo 2021, per la serata delle cover, l’omaggio a Luigi Tenco di Gaia e Lous and The Yakuza interpreti di “Mi sono innamorato di te”. Il brano fu pubblicato originariamente nell’LP “Luigi Tenco” del 1962. Nel 1964 venne reinciso con l’arrangiamento di Gianpiero Boneschi e pubblicato nel 45 giri “Mi sono innamorato di te /Angela”.

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Parlando della cover, Gaia sui suoi profili ha scritto:

“Mi sono innamorato di te. Luigi Tenco con questo brano è riuscito a fare la cosa più difficile al mondo: parlare d’amore con onestà, disillusione, ma alla fine con estrema tenerezza. Perché l’amore capita, quando meno ce l’aspettiamo e non sempre quando siamo pronti a riceverlo, ma in fondo, come tutto ciò che arriva inaspettato, ci tocca nel profondo e ci fa evolvere”.

di Fabio Tiraboschi – Genoa News Chronicle / Io, reporter